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LA SOCIETÀ POST-INDUSTRIALE TRA SVILUPPO E CRISI
Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Introduzione
Non ha torto Bertrand de Jouvenel quando scrive che la «previsione sociale» è relativamente meno difficile della «previsione politica»; ma non ha torto a condizione che le trasformazioni economiche e tecnologiche — alle quali inerisce la previsione sociale — continuino a configurare processi di mutamento «lento e faticoso». Se il quadro cambia, e se cambia la «velocità», la differenza tra previsione sociale e previsione politica può attenuarsi fino a sparire del tutto.
- Type
- Saggi
- Information
- Italian Political Science Review / Rivista Italiana di Scienza Politica , Volume 5 , Issue 2 , August 1975 , pp. 213 - 233
- Copyright
- Copyright © Società Italiana di Scienza Politica
References
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2. Kahn, H. e Wiener, A. J., Vanno 2000. La scienza di oggi presenta il mondo di domani, Milano, il Saggiatore, 1968, p. 197.Google Scholar
3. Ivi, p. 199.Google Scholar
4. Bell, D., L'anno 2000: traiettoria di un'idea , in Bell, (a cura di), Prospettive del 21° secolo, Milano, Mondadori, 1969, p. 16.Google Scholar
5. Ivi, p. 13.Google Scholar
6. Ivi, p. 15.Google Scholar
7. Kahn, H. e Wiener, A. J., op. cit., p. 197. È da ritenere che durante l'ultimo terzo del presente secolo, secondo i due autori, tali caratteri «assumano un peso particolare negli Stati Uniti, seguiti forse, a breve distanza, da Canada, Svizzera, paesi scandinavi e, pur con le debite differenze culturali, dal Giappone. La differenza nel resto dell'Europa occidentale differirà probabilmente solo di grado». Ivi, p. 196.Google Scholar
8. Bell, D., op. cit., p. 21.Google Scholar
9. Ivi, p. 18. Il corsivo è nel testo.Google Scholar
10. Sono questi elementi di una «tendenza multiforme di lungo periodo». Cfr. Kahn, H. e Wiener, A. J., op. cit., p. 196.Google Scholar
11. Bell, D., op. cit., p. 21. Il riferimento specifico è al sistema economico degli Stati Uniti, ma come si è visto questo paese non è che l'avanguardia di una tendenza generale.Google Scholar
12. Per l'«anzitutto», v. Bell, op. cit., p. 21.Google Scholar
13. Kahn, H. e Wiener, A. J., op. cit., p. 337.Google Scholar
14. Bell, D., op. cit., p. 13, il quale cita S. Agostino.Google Scholar
15. Certo, la portata e i campi dell'intervento umano sulla storia sono destinati, secondo Ja filosofia positivista, ad aumentare proprio in virtù della legge stessa del progresso, in quanto questo determina una complicazione crescente dei rapporti storici e sociali, e piú tali rapporti si complicano piú essi divengono modificabili dall'intervento umano. Ma ciò non significa che l'azione umana possa innovare sulla direttrice di base della proiezione lineare del futuro. Cfr. il mio Il potere nella società industriale. Saint-Simon e Comte, Napoli, Morano, 1965, pp. 124–5.Google Scholar
16. Per vero, Comte si pone questo problema, in riferimento alle trasformazioni industriali e tecnologiche e alle conseguenze negative (disoccupazione, dissesti economici) che esse comportano per la generazione di passaggio: fa l'esempio dell'introduzione della stampa e della disoccupazione che ne è derivata per copisti ed amanuensi, davvero poco consolati dalla prospettiva, pure indubbia, che nella generazione successiva almeno altrettanti operai sarebbero vissuti di lavoro tipografico. Cfr. Cours de philosophie positive, Paris, Schleicher Frères, ed. 1908, vol. IV, p. 146. Ma poi non coglie, a livello di teoria generale dello sviluppo storico, le implicazioni di tale notazione.Google Scholar
17. Schattschneider, E. E., Interesse generale e sistema di pressione, nell'antologia, da me curata, Vartiti e gruppi di pressione, Bologna, il Mulino, 1972, p. 77.Google Scholar
18. Comte, A., Système de politique positive, Paris, Crès, ed. 1912, vol. IV, p. 323.Google Scholar
19. Secondo il punto di vista dei teorici di tale tipo di società.Google Scholar
20. Che ciò fosse fino a un certo punto scontato, è ovvio, data l'importanza del fattore energetico sul processo produttivo delle società industriali avanzate. Ma il contraccolpo si è rivelato piú forte di quanto certe previsioni sulle capacità del sistema economico lasciassero supporre.Google Scholar
21. È quanto ho rilevato nel capitolo «Ruolo e funzioni del sindacato» del mio Condizioni della libertà, Firenze, Sansoni, 1974, p. 101.Google Scholar
22. Huntington, S. P., La politica nella società post-industriale , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», IV (1974), pp. 521–2.Google Scholar
23. Comte, A., Cours de philosophic positive, cit., vol. VI, p. 51.Google Scholar
24. Ivi, p. 51.Google Scholar
25. Cfr. il mio Il potere nella società industriale, cit., p. 136.Google Scholar
26. Per Spencer, che ha trattato il tema soprattutto in The Study of Sociology (1873) e nei Principles of Sociology (1876–96), cfr. l'antologia, a cura di Rossi, P., Positivismo e società industriale, Torino, Loescher, 1973, pp. 267–291; per Saint-Simon, cfr. il mio Il potere nella società industriale, cit., pp. 47–8.Google Scholar
27. Cotta, S., La sfida tecnologica, Bologna, il Mulino, 1968, p. 74.Google Scholar
28. Ivi, p. 103.Google Scholar
29. Huntington, S. P., op. cit., p. 490.Google Scholar
30. Sartori, G., Il potere del lavoro nella società post-pacificata (Un futuribile sindacale), in «Rivista Italiana di Scienza Politica», III (1973), p. 43.Google Scholar
31. Kahn, H. e Wiener, A. J., op. cit., p. 197.Google Scholar
32. Touraine, A., La società post-industriale, Bologna, il Mulino, 1974, p. 5. A p. 210 Touraine afferma che «nell'odierna società programmata, dominata dal nuovo conflitto tra i tecnocrati e i consumatori… lo scontro delle direzioni dell'industria e dei sindacati non è piú al centro delle lotte politiche».Google Scholar
33. Kahn, H. e Wiener, A. J., op. cit., p. 197.Google Scholar
34. Per il quale gli effettivi rapporti di potere sono fissati «in termini di “posizione” (status) nella struttura politico-economica, non in termini dei diritti di proprietà del tipo capitalistico (non piú che di quelli del tipo feudale)». Cfr. La rivoluzione dei tecnici, Milano, Mondadori, 1947, p. 143. Huntington parla, per la società post-industriale, di potere che «sarà basato soprattutto sul controllo della specializzazione (a cui si accede mediante l'istruzione) invece che sul controllo della proprietà (che si acquisisce per eredità o per abilità imprenditoriale)», op. cit., p. 491. Sul tema del rapporto tra proprietà, competenza e control degli strumenti produttivi, cfr. la mia voce Tecnocrazia, in Dizionario di Politica, Torino, U.T.E.T., in corso di pubblicazione.Google Scholar
35. Di classe teoretica parla Bell, D., The Post-Industrial Society: Technocracy and Politics , in «Survey», n. 78, 1971. Sui positivisti cfr. la parte terza «Società industriale e potere spirituale» del mio Il potere nella società industriale, cit., pp. 229–328.Google Scholar
36. Di «una società, cioè, culturalmente, psicologicamente, socialmente, economicamente plasmata dal forte influsso della tecnologia e dell'elettronica, in particolare dei calcolatori e dei nuovi mezzi di comunicazione»: Brzezinski, Z. K., Dilemmi internazionali in un'epoca tecnetronica, Milano, Etas Kompass, 1969, p. 36. Sui «protagonisti della tecnocrazia», cfr. il capitolo «Il rischio tecnocratico» del mio Condizioni della libertà, cit., pp. 65–83.Google Scholar
37. Cfr. Huntington, S. P., op. cit., p. 523. Per una analisi in chiave di marxismo sovietico del rapporto tra democrazia, tecnocrazia e potere socio-economico nella società post-industriale, cfr. Volkov, Ju. S., Influsso dei fattori socio-economici e tecnico-scientifici sul sistema del potere , in «Voprosy Filosofii», VII, 1974, ora, col titolo I detentori del potere nei diversi sistemi sociali, in «Documentazione sui paesi dell'Est», n. 7–9, 1974, pp. 332–347.Google Scholar
38. Sulle connessioni tra società tecnologica e totalitarismo, cfr. il mio «Novità» e terrore nel regime totalitario , in «Diritto e Società», I (1975), e la letteratura ivi richiamata.Google Scholar
39. Opportunamente Huntington osserva che «i modelli di società future che conquistano l'immaginazione e sembrano — da un punto di vista intellettuale — estremamente persuasivi e conclusivi, all'atto pratico raramente si materializzano». Op. cit., p. 524. A sua volta, D. Bell ha recentemente definito la società post-industriale un «tipo ideale» e un «costrutto concettuale». Cfr. The Coming of Post-Industrial Society, New York, Basic Books, 1973, p. 487.Google Scholar
40. Com'è noto, futuribili sta per futuri possibili.Google Scholar
41. Il limite di Bell è di vincolare tale impegno entro i confini e la cornice ideal-tipica della società post-industriale quale emerge dal modello teorico standard.Google Scholar
42. «Non c'è ragione per negare la realtà del progresso; però è necessario rettificare la nozione che ritiene sicuro questo progresso. Piú conformemente ai fatti si può pensare che non c'è nessun progresso certo, nessuna evoluzione, senza la minaccia d'una involuzione o regresso. Tutto, tutto è possibile nella Storia, tanto il progresso trionfale e illimitato quanto la periodica regressione. Perché la vita, individuale o collettiva, personale o storica, è Tunica entità dell'Universo la cui sostanza sia il rischio. Si compone di peripezie. È, rigorosamente parlando, un dramma. Questa, che è una verità in generale, acquista maggiore intensità nei “momenti critici”»: Ortega, J. y Gasset, , La ribellione delle masse, Bologna, il Mulino, 1962, pp. 67–8.Google Scholar
43. Principles of Sociology, ora in Rossi, op. cit., p. 288.Google Scholar
44. Ivi, p. 288.Google Scholar
45. Cours de Philosophie positive, cit., vol. VI, p. 336. Va sottolineato che per Comte funzionario pubblico non significa funzionario statale, ma esercente uh servizio sociale, di tipo pubblico.Google Scholar
46. Cfr. sul punto il mio Il potere nella società industriale, cit., pp. 198–9. Si noti come la letteratura sulla tecnocrazia tenda a proporre quale definizione di tecnocrate quella di «tecnico delle idee generali». Per tutti, cfr. su ciò Meynaud, J., Technocratic et politique, Lausanne, Etudes de Science Politique, 1960, p. 30.Google Scholar
47. Cosí Friedman, M., Efficienza economica e libertà, Firenze, Vallecchi, 1967, p. 293.Google Scholar
48. Cfr. Tinbergen, J., Lezioni dal passato, Firenze, Vallecchi, 1967, p. 94: «la quota crescente di prodotto nazionale destinata alla guerra richiese a sua volta controlli sempre piú severi sulla vita economica».Google Scholar
49. «Verso il 1932 la Germania capí che era opportuno l'aumento della spesa pubblica; gli Stati Uniti giunsero alla stessa conclusione nel 1934»: Tinbergen, J., op. cit., p. 100. Se si considera, inoltre, che «dopo pochi anni la Germania nazista cominciò ad attuare la politica economicamente valida, ma assai poco attraente, del riarmo» (ivi, p. 100), completando cosí «la rinascita dell'economia tedesca» (ivi, p. 99), e che per l'assorbimento della disoccupazione negli Stati Uniti un ruolo non marginale hanno svolto la preparazione della seconda guerra mondiale e i relativi arruolamenti, si avverte il collegamento tra depressione economica e successivo evento bellico.Google Scholar
50. «Nel 1936 il bilancio nazionale tedesco ammontava a 102 bilioni di marchi, di cui 21 di spesa pubblica. Nel 1944, su un totale di 154 bilioni di marchi, 92 bilioni erano dovuti alla spesa pubblica, e l'investimento privato era diminuito da 11 a 2 bilioni»: Tinbergen, J., op. cit., p. 101. Non ha torto perciò Spencer quando nota che «l'estensione dell'interferenza governativa» nella vita civile e l'aumento delle funzioni attribuite al settore pubblico, pertengono anche nell'età moderna alla soddisfazione delle esigenze militari.Google Scholar
51. Cfr. Sartori, G., op. cit., p. 43: «Se l'economia dei beni collettivi diviene cruciale, ne consegue che la società di servizi si trasforma in modo crescente — nella misura in cui questi beni sono indivisibili e a disposizione di tutti gratuitamente o a basso prezzo — in una società di “servizi pubblici”, e quindi in una società sempre meno autonoma dalle autorità politiche che erogano i beni collettivi».Google Scholar
52. «Per far fronte ai problemi del finanziamento dell'attività economica dei governi, sono state introdotte imposizioni fiscali con livelli d'aliquota senza precedenti»: Tinbergen, J., op. cit., p. 118.Google Scholar
53. Fusfeld, D. R., Storia del pensiero economico moderno, Milano, Mondadori, 1970, pp. 221–2.Google Scholar
54. Tinbergen, J., op. cit., p. 147.Google Scholar
55. Ivi, p. 147.Google Scholar
56. Ivi, p. 147.Google Scholar
57. «Il fatto sorprendente, a questo proposito, è che l'economia occidentale, nonostante i pesanti carichi fiscali, non si è mai sviluppata cosí rapidamente come nell'ultimo decennio»: Tinbergen, J., op. cit., p. 119.Google Scholar
58. Per governativo va inteso ogni intervento di tipo pubblico e para-pubblico, di origine centrale e locale.Google Scholar
59. Op. cit., p. 121 e ivi ancora: «il danno maggiore prodotto dalla teoria dello strumento equilibratore è che… essa ha continuamente favorito un'espansione dell'ámbito delle attività pubbliche a livello federale e impedito una riduzione dell'onere delle tasse federali».Google Scholar
60. Friedman, M., op. cit., p. 293.Google Scholar
61. È storicamente accertato il significativo rapporto genetico tra esigenze militari e sistema fiscale.Google Scholar
62. Secondo la definizione di Sellier, F., in «Esprit», numero sul socialismo, maggio 1956, p. 666.Google Scholar
63. Kahn, H. e Wiener, A. J., op. cit., p. 79.Google Scholar
64. «Anche se si dovesse accettare il punto di vista che il bilancio federale debba e possa essere usato come strumento equilibratore… non è assolutamente necessario utilizzare a questo fine soltanto la voce delle spese del bilancio. Anche la voce tasse è parimenti utilizzabile… Le tasse possono essere abbassate in fase di recessione e aumentate in fase di espansione»: Friedman, M., op. cit., p. 122. Va da sé che nell'un caso e nell'altro è l'autorità pubblica, è in definitiva la politica che «dà alla società la sua base organizzativa» (Black, C., The Dynamics of Modernization. A Study in Comparative History, New York, Harper & Row, 1966, p. 57, trad. it. La dinamica della modernizzazione, Milano, I.L.I., 1971). Ma ciò non toglie che, sul piano politico oltre che sul piano economico, l'organizzazione interventista sia assai diversa da una organizzazione meno fiscalmente invadente e piú rispettosa dell'autonomia del sotto-sistema economico.Google Scholar