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LA DEMOCRAZIA E IL POTERE INVISIBILE

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

In uno scritto di alcuni anni fa mi sono occupato dei «paradossi» della democrazia, cioè delle difficoltà oggettive in cui si viene a trovare una corretta applicazione del metodo democratico proprio nelle società in cui continua a crescere la richiesta di democrazia. Per chi considera la democrazia come l'ideale del “buon governo” (nel senso classico della parola, cioè nel senso che riesce meglio di ogni altro a realizzare il bene comune), l'altro tema oggetto di continuo dibattito è quello che si potrebbe chiamare degli “insuccessi” della democrazia. Gran parte di ciò che oggi si scrive sulla democrazia può essere fatto rientrare nella denuncia, ora accorata ora trionfante, di questi insuccessi. Vi rientra il tema ormai classico della teoria delle élites, e quello ancora piú classico del divario tra democrazia formale e democrazia sostanziale. Vi rientra, infine, il tema dell'ingovernabilità, che è emerso in questi ultimi anni. D'altra parte, non mi pare che abbia ancora avuto la necessaria attenzione degli scrittori politici — come pur meriterebbe — il tema, su cui esercito questo primo scandaglio, del “potere invisibile”.

Type
Saggi
Copyright
Copyright © Società Italiana di Scienza Politica 

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References

1 Quale socialismo?, Torino, Einaudi, 1976, pp. 45 ss.Google Scholar

2 In un articolo di Puletti, R., Il lento cammino verso la verità , in “L'Umanità”, 13 marzo 1980, p. 1.Google Scholar

3 Glotz, G., La città greca, Torino, Einaudi, 1948, p. 202.Google Scholar

4 Platone, , Le Leggi, 701a (trad. Cassarà, A., Bari, Laterza, 1921, vol. I, p. 102). Ma si veda anche il passo precedente in cui si dice che la musica non deve essere giudicata dai primi venuti, onde il giudice della buona musica non deve giudicare prendendo lezione dagli spettatori, “confuso dai clamori della folla”, e si critica “quello che la legge dispone in Sicilia e in Italia, dove essa rimette il giudizio alla folla degli spettatori, e fa proclamare il vincitore per alzata di mano” (659b).Google Scholar

5 Di netta derivazione platonica, se pure con accentuazione diversa del teatro come luogo rispetto al teatro come l'insieme degli spettatori, è l'uso che Nietzsche fa del termine “teatrocrazia” in Il caso Wagner, ove rimprovera il movimento di Bayreuth di aver incoraggiato “la presunzione del profano, dell'idiota in arte”, onde “tutta questa gente organizza oggi associazioni, vuole imporre il proprio gusto, vorrebbe far da giudice persino in rebus musicis et musicantibus“ (qui la derivazione da Platone è indubbia), e di aver coltivato la “teatrocrazia”, definita “la bizzarria di una credenza nel primato del teatro, in un diritto alla supremazia del teatro sulle arti, sull'arte” (Opere, a cura di Colli, G. e Montinari, M., Milano, Adelphi, 1970, vol. VI, tomo III, p. 39).Google Scholar

6 Natale, Michele, Catechismo repubblicano per l'istruzione del popolo e la rovina de' tiranni, nella recente edizione a cura di Acocella, G., e con la presentazione di Tessitore, F., Equense, Vico, 1978, p. 71. Un'altra curiosa citazione da Maurice Joly, Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu ou la politique de Machiavel au XIX siècle par un contemporain, Bruxelles, chez tous les libraires, 1868: “… mais comme la publicité est de l'essence des pays libres, toutes ces institutions ne pourraient vivre longtemps si elles ne fonctionnaient au grand jour” (p. 25).Google Scholar

7 Il rapporto fra misura eccezionale e temporaneità è una delle caratteristiche della dittatura romana, di quella che Schmitt chiama dittatura “commissaria” per distinguerla dalla dittatura “sovrana” (La dittatura, Bari, Laterza, 1975, ediz. originale 1921, cap. I). La temporaneità giustifica la eccezionale concentrazione del potere. Dal momento che la dittatura diventa perpetua il dittatore si trasforma in tiranno. La dittatura romana è un esempio tipico di giustificazione dell'eccezione alla regola mediante la limitazione nel tempo. Tipico nel senso che una qualsiasi misura eccezionale, quando sia rigorosamente limitata nel tempo, sospende l'applicazione della regola ma non abroga la regola stessa, e pertanto salva l'ordinamento nel suo complesso.Google Scholar

8 In particolare la lettera n. 10 del 23 novembre 1787, Il Federalista, Pisa, Nistri-Lischi, 1955, pp. 56 ss.Google Scholar

9 München und Leipzig, Duncker & Humblot, 1928, p. 208.Google Scholar

10 Ibidem, p. 209. Su questo aspetto del pensiero di Schmitt richiama l'attenzione Freund, J., L'essence du politique, Paris, Sirey, 1965, p. 329.Google Scholar

11 Habermas, J., Strukturwandel der Öffentlichkeit, Neuwied, Luchterhand, 1962, trad. it. col titolo Storia e critica dell'opinione pubblica, Bari, Laterza, 1971. Il libro mi pare discutibile perché non vengono mai distinti nel corso di tutta l'analisi storica i due significati di ‘pubblico’ come appartenente alla sfera statale, alla “res publica”, che è il significato originario del termine latino ‘publicum’, tramandatoci dalla distinzione classica tra ius privatum e ius publicum, e come manifesto (che è il significato del termine tedesco ‘öffentliches’) opposto a segreto.Google Scholar

12 Il che non toglie l'uso da parte degli illuministi delle società segrete, come di strumento indispensabile per combattere la battaglia dei lumi contro l'assolutismo. Su questo tema ampiamente Koselleck, R., Critica illuministica e crisi della società borghese, Bologna, Il Mulino, 1972 (ediz. originale, 1959). Sulla necessità del segreto per combattere il potere segreto vedi oltre. Cosí Koselleck: “Contro i misteri degli idolatri degli arcana della politica stava il segreto degli Illuminati. ‘Perché società segrete?’ chiede Bode, loro campione nella Germania settentrionale, “la risposta è semplice: perché sarebbe follia giocare a carte scoperte quando l'avversario nasconde il proprio gioco” (p. 108).Google Scholar

13 Starobinski, J., 1789. Les emblèmes de la raison, Paris, Flammarion, 1979, p. 34.Google Scholar

14 Kant, I., Risposta alla domanda: che cosa è l'illuminismo , in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino, Utet, 1956, pp. 143 e 148.Google Scholar

15 Scritti politici, cit., p. 328.Google Scholar

16 Ibidem, p. 331.Google Scholar

17 Ibidem, p. 333.Google Scholar

18 Cfr. Repubblica, 571.Google Scholar

19 Traggo questa citazione dall'Introduzione di Firpo, L. a Tasso, Torquato, Tre scritti politici, Torino, Utet, 1980, p. 27.Google Scholar

20 L'espressione deriva da Tacito. Per una prima approssimazione al tema Meinecke, F., L'idea della ragion di stato nella storia moderna, Firenze, Vallecchi, 1942, vol. I, pp. 186 ss.Google Scholar

21 Lo cito dall'ediz. di Amsterdam, apud Elzeverium, Ludovicum, 1644. Il volume contiene anche, a guisa d'introduzione, il Discursus de arcanis rerum publicarum di Giovanni Corvino, e il De arcanis rerumpublicarum discursus di Christoph Besold nonché il De iure publico dello stesso Clapmar. Il brano citato si trova a p. 10. Entrambe le espressioni, arcana imperii e arcana dominations, si trovano in Tacito se pure senza il significato specifico che attribuisce loro il Clapmar: la prima in Annales, II, 36, e in Historiae, I, 4; la seconda in Annales, II, 59.Google Scholar

22 Cito dalla trad. it., Torino, Boringhieri, 1958. Il brano citato è a p. 54.Google Scholar

23 Cito dall'ediz. di Poujol, J., Paris, Librairie d'Argences, 1961. Il brano citato è a p. 134.Google Scholar

24 Ibidem, p. 139.Google Scholar

25 Quando avevo già scritto queste pagine mi è capitato fra le mani il libro di Schwarzenberg, R. - G., Lo stato spettacolo, Roma, Editori Riuniti, 1980, presentato con il sottotitolo Attori e pubblico nel grande teatro della politica mondiale. Il tema del libro è la trasformazione della vita politica in uno spettacolo in cui il grande politico si esibisce, ha bisogno di esibirsi, come un attore. L'a. scrive all'inizio: “Ormai lo stato si trasforma in compagnia teatrale, in produttore di spettacolo …”, dove l'unico errore è in quell'“ormai” (errore peraltro in un libro di politica piuttosto grave).Google Scholar

26 Si tratta del cap. VI del Libro III.Google Scholar

27 Un bel repertorio di citazioni si trova in de Mattei, R., Il problema della ‘ragion di stato’ nel seicento. XIV, Ragion di stato e “emendacio” , in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, XXXVII (1960), pp. 553576.Google Scholar

28 Bodin, Jean, Les six livres de la République, Paris, chez Jacques du Puys, 1597, IV, 6, p. 474 (cit. da De Mattei, p. 560, nota 27).Google Scholar

29 Torino, Einaudi, 1967, pp. 218228.Google Scholar

30 Ibidem, p. 220.Google Scholar

31 Ibidem, pp. 224–25.Google Scholar

32 Ibidem, p. 225.Google Scholar

33 Cfr. Scritti politici, cit., p. 288. Nella repubblica di Ibania, descritta dal dissidente sovietico Zinoviev, A., nello straordinario libro Cime abissali, Milano, Adelphi, 2 voll., 1977–1978, lo spionaggio è elevato a principio generale di governo, a suprema regola non soltanto nei rapporti tra governanti e governati ma anche nei rapporti dei governati fra <loro, cosí che il potere autocratico si fonda oltre che sulla sua capacità di spiare i sudditi anche sull'aiuto che gli viene dai sudditi terrorizzati che si spiano fra di loro.Google Scholar

34 Sarebbe opportuno distinguere due funzioni diverse del segreto, il non far sapere perché la decisione non è da tutti (il segreto tecnico) e non è per tutti (il segreto piú propriamente politico).Google Scholar

35 Un'operazione tipica di “disoccultamento” è appunto la denuncia di scandali o per meglio dire la denuncia di azioni compiute senza pubblicità che una volta diventate pubbliche suscitano scandalo.Google Scholar

36 “Questo programma può essere enunciato chiaramente in poche parole: distruzione totale del mondo giuridico-statale e di tutta la cosiddetta civiltà borghese mediante una rivoluzione popolare spontanea, diretta in modo invisibile non da una dittatura ufficiale, ma da una dittatura anonima e collettiva di amici della liberazione totale del popolo da ogni giogo, saldamente uniti in una società segreta e agenti sempre e ovunque per un unico fine e secondo un unico programma” (Bakunin, M.A. a Nečaev, S.G., in Herzen, A.I., A un vecchio compagno, a cura di V. Strada, Torino, Einaudi, 1977, p. 80).Google Scholar