IntroduzioneFootnote 1
La Escuela Española de Historia y Arqueología en Roma (EEHAR–CSIC) da oltre 25 anni realizza scavi archeologici e ricerche nell'area della città di Tusculum. Si tratta di uno dei progetti di più lunga durata di una scuola straniera sul territorio italiano. I risultati ottenuti hanno consentito di delineare un quadro conoscitivo della città complesso e articolato nella diacronia.Footnote 2 Dal 2019 le indagini archeologiche sono state concentrate in corrispondenza del versante centro-meridionale del foro della città, occupato in età imperiale dalla basilica e da un edificio monumentale, la cd. Curia/Tempio, la cui interpretazione è da lungo tempo dibattuta.Footnote 3 Obiettivo di questo nuovo programma di ricerche e valorizzazione del Parco Archeologico Culturale del Tuscolo era conseguire una più dettagliata conoscenza del quadro archeologico di questo settore dell'area forense, già in parte indagato nel corso di campagne precedenti,Footnote 4 in modo da poterne ricostruire l'assetto topografico e architettonico e le trasformazioni che esso subì nel corso delle diverse epoche.
L'area oggetto d'indagine è stata distinta in due settori. Il primo, definito Area 1, si estendeva originariamente su una superficie di mq 157 ed era localizzato nello spazio a cavallo tra la basilica di epoca imperiale e quello della piazza forense; il suo limite occidentale coincideva con quello di settori indagati nel corso di precedenti campagne di scavo, le quali avevano portato all'individuazione di una parte dell'edificio basilicale e di una porzione della pavimentazione della piazza antistante. Nel corso delle campagne 2021 e 2022 l'Area 1 è stata ampliata in direzione nord ed est, fino a coprire una superficie pari a mq 225. Il secondo settore di indagine, detto Area 2, è stato localizzato a nord della cd. Curia/Tempio (Fig. 1). Presentava un profilo irregolare e un'estensione complessiva pari a mq 121.Footnote 5
Le quattro campagne di scavo realizzate tra il 2019 e il 2022 hanno consentito di acquisire nuovi dati per la nostra conoscenza di questo versante del foro tuscolano, rivelando una complessa sequenza stratigrafica estesa dall'età arcaica a quella post-antica (XII secolo d.C.) e aprendo nuove prospettive per la lettura degli edifici che vi furono realizzati nel corso del tempo (Fig. 2).
Tra i risultati conseguiti dal nuovo programma di indagini vi è il rinvenimento di un gruppo di elementi architettonici stuccati i quali rivestono un particolare valore documentario in virtù:
a) del loro stato di conservazione, il quale consente di rilevarne dettagli tecnici utili alla ricostruzione del processo produttivo e di apprezzarne aspetti specifici legati all'ornato policromo;
b) della quantità e articolazione dei frammenti individuati, le quali permettono di proporre un'ipotesi di ricostruzione dello schema architettonico complessivo.
In questo contributo, dunque, presentiamo una preliminare analisi di questi reperti, considerati alla luce delle loro caratteristiche tecniche, stilistico-formali e del contesto stratigrafico in cui sono stati rinvenuti (§ 1–3).Footnote 6 Ciò consentirà di proporre un'ipotesi di ricomposizione dell'apparato di rivestimento che essi componevano e di sviluppare alcune considerazioni sul problema del loro inquadramento cronologico (§ 4–5). Infine, l'attenzione sarà portata sull'individuazione del contesto monumentale cui tali elementi erano pertinenti. Quest'ultimo, come proveremo a suggerire di seguito, crediamo possa essere identificato con la più antica basilica del foro di Tusculum risalente agli inizi del II secolo a.C. (§ 6).
1 Il contesto di rinvenimento
I frammenti di rivestimento architettonico in esame provengono complessivamente da sette unità stratigrafiche le quali sono riconducibili a due differenti attività (Fig. 3). La prima è connessa alla parziale demolizione di un imponente muro in opera quadrata di tufo (USM 130, Figg. 3, 20) pertinente a un settore della fondazione di un edificio sul quale torneremo tra breve (v. § 6). Unitamente allo smontaggio di parte di questa fabbrica si provvide a realizzare lungo il suo lato occidentale una serie di accumuliFootnote 7 nei quali confluirono i blocchi derivanti dalla demolizione e altri materiali di diversa natura; tra questi vi erano alcuni dei frammenti stuccati di cui tratteremo in questa sede. La seconda attività è connessa alla costruzione di una struttura posta a ridosso dell'edificio cui apparteneva l'USM 130 (USM 129).Footnote 8 Tale nuova struttura consisteva in un lungo muro in opera incerta orientato in senso est-ovest e realizzato contro terra con probabile funzione sostruttiva (Figg. 3, 22).Footnote 9 Per la sua realizzazione strati di livellamento e di preparazione furono allestiti adoperando terra frammista a materiale ceramico ed elementi architettonici sia fittili che in stucco in stato frammentario. Nell'ambito di tale allestimento, una particolare concentrazione di reperti in stucco fu accumulata in corrispondenza dell'angolo costituito dal lato meridionale della fondazione del muro USM 129 e da quello occidentale di una struttura più antica obliterata da questo (USM 284, Fig. 21 e § 6.1); altri frammenti, infine, furono utilizzati nella fondazione e nel nucleo della muratura dell'USM 129.Footnote 10 Ciò suggerisce un nesso particolarmente stretto tra lo smontaggio dell'apparato di rivestimento cui i reperti in esame appartenevano, la parziale demolizione dell'USM 130 e la costruzione del muro USM 129. Questi due avvenimenti, sulla base dei dati stratigrafici e dei materiali associati, ebbero luogo nel corso dello stesso orizzonte temporale, coincidente con la fine del II secolo a.C.Footnote 11 Nelle pagine che seguono torneremo sul problema delle possibili circostanze correlabili a questi eventi e sull'assetto del contesto topografico e monumentale in cui essi ebbero luogo (§ 6.1). Prima di ciò, però, occorre esaminare la natura e le caratteristiche tecniche e formali dei reperti oggetto di questo studio e la possibile configurazione dell'organismo architettonico cui essi potevano appartenere.
2 Descrizione degli elementi architettonici individuati
Escludendo quelli più minuti e di problematica lettura, il dossier che ci accingiamo a esaminare si compone di circa settanta frammenti,Footnote 12 riconducibili alle seguenti membrature architettoniche stuccate: a) lesene con semicapitelli; b) rivestimenti di archivolti; c) un rivestimento parietale. Apparentemente assenti risultano le basi e gli elementi della trabeazione.Footnote 13
a) I reperti attribuibili alla lesena comprendono settori del fusto scanalato (Fig. 5, d)Footnote 14 e parti del capitello, e specificamente: 1) settori della base del kalathos, 2) sette foglie d'acanto, 3) una protome conformata a testa femminile, 4) due volute, una destra e una sinistra, 5) diversi settori dell'abaco, nonché 6) un gruppo di elementi floreali.Footnote 15
a1) La base del kalathos ha forma rettangolare, con le due estremità corrispondenti ad angoli di 90 gradi. Di essa non possiamo definire con sicurezza la lunghezza e la profondità originarie. Il suo profilo si compone di un listello dal quale si diparte un cavetto la cui terminazione appare simile a un becco di civetta, a sua volta sormontato da un ovolo (Figg. 4,f, 6,f).Footnote 16
a2) Sono state documentate sette foglie d'acanto, e tra esse due foglie angolari e cinque frontali. Il loro stato di conservazione è complessivamente buono, benché si osservino abrasioni sulle superfici e parziali lacune in particolare in corrispondenza dei margini esterni delle fogliette. Tutti gli esemplari sono caratterizzati da una scialbatura di colore bianco applicata alle foglie vere e proprie; lo sfondo dal quale esse si staccano, invece, è campito alternativamente di colore rosso (quattro esemplari) o verde (tre esemplari). Tutte le foglie presentano un profilo slanciato e una resa piena e carnosa delle superfici. Esse si dispiegano lungo la direttrice imposta da una spessa costolatura centrale, la quale ha un profilo convesso a sezione triangolare; il suo andamento, solo lievemente obliquo, assume all'estremità superiore una curvatura aggettante. Una inclinazione poco più accentuata si riscontra in corrispondenza delle costolature delle foglie angolari, le quali mantengono comunque la medesima struttura complessiva. Alcuni dettagli, nella resa delle incisioni delle nervature – talvolta desinenti verso la base della foglia, talaltra connesse a diversi punti della nervatura centrale – e in quella delle fogliette che orlano il profilo esterno dell'acanto – più dolce e arrotondato, ovvero più frastagliato e con fogliette di forma lievemente puntuta – indiziano la compartecipazione di più mani alla lavorazione dei diversi elementi dell'apparato in esame (cfr. Fig. 7). Inoltre, differenze nella resa dei due lati delle foglie d'angolo potrebbero essere legata al posizionamento di queste ultime e al differente grado di visibilità tra il lato disposto in facciata e quello ubicato sul lato corto della lesena.
Delle foglie d'angolo, una è conservata pressoché integralmente,Footnote 17 l'altra è priva dell'estremità superiore (Fig. 7, a–b).Footnote 18 Entrambe presentano una pagina fogliacea articolata in undici lobi definiti da nervature incise a stecca e desinenti alle estremità delle fogliette. Elementi di differenziazione tra le due foglie sono costituiti dalla diversa colorazione del fondo dal quale esse si stagliano, in un caso campito di verde e nell'altro di rosso, nonché dalla resa dell'acanto. In un caso, infatti, la foglia presenta un contorno più dolce, con le fogliette caratterizzate da un profilo maggiormente curvilineo e da occhi d'ombra chiusi o semichiusi e di forma circolare o ovale (Fig. 7, a). L'altro esemplare, invece, evidenzia un profilo esterno più frastagliato, con le fogliette caratterizzate da una forma leggermente puntuta; queste ultime, inoltre denotano un'articolazione tripartita in corrispondenza dei primi tre lobi partendo dal basso (Fig. 7, b). Sul bordo inferiore sinistro di questa foglia, non a diretto contatto con essa, è un fiore campanulato di cui si conservano tre petali degli originari sei, solcati esternamente da una serie di striature incise. Infine, è utile rilevare come la foglia d'angolo su campo rosso si impostasse al di sopra del frammento angolare superstite della base del kalathos dotato di un apposito incavo (Figg. 4, f, 6, f). Le cinque foglie frontali, a differenza delle due angolari, hanno la pagina articolata in nove lobi. Tre di esse sono applicate su fondo rosso, le restanti due su fondo verde. Due delle prime tre sono molto simili.Footnote 19 La loro superficie è solcata da una fitta trama di nervature dall'andamento centrifugo e desinente verso la base della foglia, mentre il profilo esterno risulta analogo a quello della foglia angolare su campo rosso, con fogliette tripartite che disegnano occhi d'ombra piccoli e di forma chiusa o semichiusa (Fig. 7, e). Il lato posteriore di queste foglie presenta un profilo piano e sommariamente lisciato. La terza foglia di questo gruppo è ricomposta da due frammenti.Footnote 20 La sua superficie presenta nervature che non hanno l'andamento desinente verso la base, come le precedenti, bensì hanno un profilo più piano, dipartendosi da diversi punti della costolatura centrale. Il profilo esterno e la forma delle fogliette, invece, appaiono analoghi a quelli delle due appena descritte. Il lato posteriore di questa foglia è caratterizzato da uno spessore maggiore e da un profilo più irregolare, determinato da successive aggiunte di strati di malta non lavorati. Delle due foglie frontali caratterizzate da campitura verde del fondo, l'una risulta assai simile a quella appena descritta, sia in relazione alla resa della pagina fogliacea, sia rispetto al trattamento del lato posteriore, anche in questo caso maggiormente profondo e irregolare (Fig. 7, c–d).Footnote 21 Il secondo esemplare risulta fortemente lacunoso nella parte inferiore.Footnote 22 Anche in esso le nervature che ne attraversano la superficie non hanno l'andamento desinente verso la base, bensì si divaricano dipartendosi dalla costolatura centrale. Il profilo esterno e la forma delle fogliette, invece, appaiono analoghi a quelli delle altre due. Inoltre, sul lato posteriore questo terzo reperto presenta un elemento dal profilo approssimativamente semicircolare e dalla superficie rifinita, identificabile con la base del collo della protome femminile (Fig. 7, f). Connesso a esso è un perno, il quale doveva essere funzionale all'aggancio della protome e della foglia al supporto cui l'apparato era applicato. Sia ai lati della base del collo che di quelli del perno si conservano tracce di colore rosso.
a3) La protome femminile si caratterizza per il volto dal profilo ovale, pieno e delicato. Il collo è robusto e solcato da tre pieghe sottili, in parte abrase (Fig. 6, a–b).Footnote 23 Esso denota una lieve torsione verso destra. La prospettiva non perfettamente frontale in cui la testa doveva essere disposta è suggerita, inoltre, dalla resa asimmetrica degli occhi e dalla presenza della capigliatura raccolta dietro la nuca solo sul lato sinistro del collo. L'incarnato del viso è contraddistinto da una scialbatura di colore bianco, analoga a quella che caratterizza le altre parti del capitello. Gli occhi sono di grandi dimensioni, con le orbite solo leggermente incavate, le palpebre sono ben profilate e di colore bruno. Le pupille sono anch'esse di colore bruno, lievemente rilevate e rivolte verso l'alto. Le sopracciglia sono sottili e allungate e bordano l'intera arcata orbitale. La bocca è lievemente dischiusa e ai lati termina in due fossette; le labbra sono carnose e campite di rosso; il labbro superiore è solcato da una conchetta centrale. Il mento e il naso sono prominenti ed entrambi risultano abrasi. La fronte è ampia e presenta un profilo a V rovesciata determinato dall'attacco della capigliatura. Quest'ultima, lavorata a stecca, è attraversata da una scriminatura centrale che divide due masse composte da ciocche sottili e ondulate di colore rosso-bruno con ritocchi di bruno più scuro. I capelli sono conformati come se fossero raccolti dietro la nuca, benché il lato posteriore della protome sia solo sommariamente lavorato e privo di decorazione pittorica. Due riccioli di colore scuro sono dipinti nella parte destra della fronte e in prossimità delle orecchie. Queste sono completamente nascoste dai capelli e dagli orecchini, i quali sono del tipo a pastiglia sferica di colore giallo ocra.
a4) Le volute documentate sono due, una destra e una sinistra. Entrambe sono lacunose e quella destra è ricomposta da tre frammenti (Fig. 6, d).Footnote 24 Si presentano ampie e caratterizzate da uno spesso listello a rilievo, piatto e campito di rosso. Questo disegna una spirale che si restringe fino a culminare in un largo occhio dal profilo convesso, anch'esso interamente campito di rosso. La superficie del nastro è lievemente concava, così come quella del canale, del quale in entrambi gli esemplari si conserva solo l'attacco. A eccezione del listello e dell'occhio, le volute presentavano una scialbatura bianca e lucida. Il loro dorso è ampio.Footnote 25 Ha un profilo concavo e bordato a destra e sinistra da due listelli piatti. All'interno della concavità centrale è disposta una larga foglia d'acanto. Questa si sviluppa per quasi tutta la curvatura della voluta, indicando come questa fosse interamente a vista. Si presenta analoga a quelle che rivestono il kalathos. È solcata da una spessa nervatura centrale convessa e a sezione triangolare nitidamente profilata a stecca; da questa si dipartono le nervature, fatte di incisioni sottili e lievemente arcuate, le quali definiscono i lobi e culminano nelle fogliette, trattate in maniera analoga alle foglie già descritte (Figg. 5, c, 6, c). Il lato posteriore era accuratamente lisciato e lavorato, ma completamente privo di rifiniture (Fig. 5, c).Footnote 26 Tale dettaglio è indicativo del fatto che esso dovesse essere non, o poco, visibile in quanto solo leggermente distaccato dalla parete cui l'apparato era applicato. Ciò, unitamente al profilo quadrangolare della base del kalathos e a quello piano del retro delle foglie d'acanto è indicativo della pertinenza di questi elementi a una lesena. All'interno della matrice della voluta sinistra è presente un foro dal profilo ovale (cm 1.8×1), nel quale doveva essere alloggiato un perno necessario al fissaggio dell'elemento al supporto cui era applicato.
a5) Settori dell'abaco sono stati ricomposti da diversi frammenti (Fig. 6, e); altri, invece, risultano isolati. Era anch'esso interamente campito di colore bianco e presentava una modanatura composta, dal basso verso l'alto, da una fascia a profilo obliquo e inclinato verso l'esterno, un listello e un ovolo.Footnote 27 Gli elementi di congiunzione tra queste diverse parti della modanatura sono rimarcati da una sottile linea color ocra (Fig. 6, e).
a6) Un gruppo di sei fiori in stucco doveva fare parte degli elementi dell'ornato del capitello. Uno di essi, come abbiamo visto, era collocato in prossimità della foglia d'angolo destra (Fig. 7, b). In un altro caso, la pertinenza al capitello è suggerita dalla campitura verde che copre il retro di un fiore a quattro petali (Fig. 7, e). Questo dettaglio indizia come tali elementi fossero applicati al supporto quando esso era già stato rivestito del suo ornato policromo. I fiori documentati possono essere ricondotti a due differenti tipologie: fiori campanulati e fiori a quattro petali impostati su un peduncolo (Fig. 7, e). I primi sono in numero di due e presentano dimensioni maggiori degli altri (alt. max 6.8–8); uno è quello, già menzionato, connesso alla foglia d'angolo dell'acanto, l'altro è molto simile al primo: è articolato da cinque petali solcati sia internamente che esternamente da incisioni sottili e nette, le quali partono dalla base della corolla e si allargano seguendo il profilo dei petali, conferendo al fiore un aspetto delicato e carnoso. I secondi sono di dimensioni complessivamente minori (alt. max 3.8–5). Consistono in fiorellini a quattro petali impostati su un peduncolo a profilo approssimativamente cilindrico e solcato anch'esso da sottili incisioni.
b) Sei frammenti di notevoli dimensioni appartengono a settori di uno o più archivolti, la cui realizzazione risponde alle medesime procedure tecniche e produttive riscontrate per gli altri elementi del sistema (Fig. 4, a–e).Footnote 28 Anche queste arcuazioni, infatti, sono costituite da una articolata sequenza di strati di malta e stucco via via più sottili e depurati fino allo strato esterno, caratterizzato da una superficie accuratamente lisciata e decorata (cfr. § 3). L'ornato consiste in un listello piatto a rilievo, di colore rosso il quale corre lungo il bordo superiore dell'arcuazione e si stacca dalla superficie curvilinea interamente scialbata di bianco (Fig. 4, a, c–d).
c) Oltre ai reperti riconducibili alla lesena e agli archivolti, circa trenta frammenti possono essere ascritti a una decorazione parietale in intonaco e stucco. Alcuni di essi sono caratterizzati da una superficie piana e lucida, interamente campita di bianco (Fig. 5, b). Altri, invece, presentano un'articolazione della superficie su tre piani sfalsati. Uno mediano, costituito da una fascia spessa circa cm 5.7 e campita di rosso, e due posti rispettivamente su un piano inferiore e su uno superiore e, per quanto visibile nei settori superstiti, interamente campiti di bianco. Le caratteristiche tecniche, cromatiche e composizionali della decorazione risultano in tutto analoghe a quelle riscontrate per gli archivolti e per i capitelli. Ciò suggerisce una pertinenza anche di questi frammenti al medesimo contesto architettonico.
3 Aspetti tecnici sulla produzione e messa in opera degli elementi architettonici
Dall'analisi degli elementi architettonici è possibile desumere dati significativi per la ricostruzione del processo produttivo connesso alla messa in opera delle decorazioni architettoniche. La maggior parte dei dettagli tecnici si riferisce all'ordine di sovrapposizione dei diversi strati di malta e stucco e alla sequenza delle varie fasi del lavoro in fase di applicazione dei rivestimenti al supporto. La quasi totalità dei frammenti analizzati presenta infatti più strati di preparazione antecedenti la lisciatura di stucco e l'applicazione finale del colore.Footnote 29 Abbiamo documentato in questo senso un totale di cinque diverse fasi di malta preparatoria prima della scialbatura finale a vista (Fig. 4, c). Questi strati ove necessario seguono l'andamento dell'elemento architettonico da decorare, come per esempio nei frammenti di archivolto. Le dimensioni delle diverse applicazioni di malta degradano di spessore dagli strati a contatto dei supporti fino al rivestimento prima della scialbatura finale. Questi dettagli riflettono evidentemente le stesse fasi del lavoro, che doveva prevedere tempi di attesa diversi per la parziale essiccazione delle malte.
La parte posteriore dei frammenti analizzati presenta tracce di due tipi: la prima liscia fa pensare a un supporto lapideo (come nel caso degli archi) ed è associata a strati di malta molto spessa (Fig. 3, b); la seconda invece presenta tracce di appoggio su strutture lignee a rilievo.
Gli elementi sporgenti o più pesanti venivano assicurati alle strutture portanti mediante grappe metalliche che attraversano gli strati di malta ancora fresca lasciando evidenti segni della loro tipologia (sezione quadrata, o circolare e rettangolare di dimensioni ridotte, Figg. 4, b–c, 5, a). Gli esempi più evidenti sono i fori praticati negli archivolti e nelle volute sporgenti del capitello figurato.
La base dei capitelli è stata realizzata in due fasi: una prima fase in cui si esegue la gola rovescia inferiore, il listello e la gola superiore e un'ultima fase con la sovrapposizione del becco di civetta superiore.
Nel caso delle foglie applicate al dorso delle volute dei capitelli delle foglie d'acanto della corona si attesta l'applicazione di un ulteriore strato di stucco sopra una prima scialbatura del dorso stesso (Fig. 5, a, 6, c). Le zone della voluta non viste venivano invece rifinite con uno strato omogeneo liscio di colore bianco senza la definizione dei nastri e del canale (Fig. 5, c).
Per gli ortostati è possibile definire la sequenza complessiva della messa in opera nel seguente schema:
1) Realizzazione di uno strato di preparazione con evidenti segni praticati con uno strumento per facilitare l'adesione al supporto.
2) Applicazione della fascia centrale con profilo su tre piani.
3) Applicazione di una prima mano di colore bianco sulle superfici.
4) Applicazione del colore rosso centrale.
5) Applicazione di un ultimo strato bianco e scialbatura finale.
Le analisi archeometriche sono attualmente in corso per mezzo di molteplici tecniche analitiche. Per il momento, abbiamo avviato le indagini in microscopia ottica, microscopia elettronica a scansione e diffrazione di raggi X mentre la spettroscopia Raman è in programma ed ulteriori tecniche saranno aggiunte in corso d'opera per rispondere a quesiti specifici.
L'analisi mineralogico-petrografica è condotta sulle sezioni sottili, allo scopo di individuare e caratterizzare i vari strati di intonaco. Nella maggior parte dei casi si individua una sequenza che – dall'interno verso l'esterno – prevede la stesura (a) di uno strato grossolano di calce mista a frammenti di ceramica triturata, (b) due strati intermedi di calce mista a frammenti litici di origine vulcanica e (c) due strati di calce con quantità variabili di calcite spatica. In un numero limitato di casi, uno o due strati intermedi – di spessore limitato e composizione analoga – si aggiungono a questa sequenza che appare altresì costante. Negli strati interni (a–b), l'interfaccia non presenta superfici di reazione bensì linee di demarcazione nette che suggeriscono tempi non particolarmente brevi a separare le varie fasi. Una differenza temporale significativa è ulteriormente supportata dalla presenza di graffiature sulla superficie dell'ultimo strato intermedio (b), al di sopra del quale sono state rinvenute tracce di un sottile strato di ocra gialla.
L'analisi chimica è condotta sulle medesime sezioni sottili mediante microscopia elettronica a scansione, allo scopo di indagare la composizione del legante, delle fasi mineralogiche e dei frammenti litici. Al momento è stato possibile osservare che la proporzione legante : aggregato diminuisce dall'esterno verso l'interno e che, lungo la stessa direzione, diminuisce anche il contenuto di CaO nel legante (dal 98 al 76% in peso). Le principali fasi mineralogiche identificate sono la calcite – prevalente negli strati più esterni – e la leucite, il clinopirosseno e i minerali opachi di ferro e titanio – prevalenti negli strati intermedi, sia come cristalli singoli sia come componenti dei frammenti litici. Ulteriori fasi quali l'andradite, l'olivina, l'analcime e la flogopite sono estremamente rare e presenti esclusivamente all'interno dei frammenti litici.
Ulteriori analisi saranno condotte mediante diffrazione di raggi X, per supportare e precisare l'identificazione delle fasi mineralogiche e stabilire la composizione del pigmento rosso, giallo e blu. Da ultimo, la spettroscopia Raman sarà impiegata per la caratterizzazione di tutti i pigmenti e, in particolar modo, di quelli utilizzati per la decorazione della testa per la quale si rende necessario l'utilizzo di una tecnica non distruttiva.Footnote 30
4 Ipotesi di ricostruzione
Gli elementi descritti, in virtù delle loro caratteristiche tecnico-produttive, chimiche, morfologiche e stilistiche (v. § 3 e 5), possono essere ricondotti a un unico apparato di rivestimento architettonico. Nonostante lo stato frammentario in cui questi materiali sono stati rinvenuti, la notevole quantità di elementi pertinenti a diversi settori del sistema consente di formulare un'ipotesi di ricostruzione del suo schema generale così come visibile in Figura 8. Tutti i reperti documentati sono, infatti, compatibili con il sistema decorativo di un organismo edilizio caratterizzato dalla presenza di arcuazioni inquadrate da lesene, le quali erano sormontate da capitelli figurati. Per quanto riguarda la ricostruzione della forma di questi ultimi attraverso l'integrazione dei diversi elementi superstiti, una questione preliminare è legata alla pertinenza di tutti i frammenti individuati al medesimo elemento ovvero a più di un capitello. La differenziazione nella colorazione degli sfondi di alcune delle foglie d'acanto ha in un primo momento orientato l'interpretazione dei materiali in esame nel senso della loro appartenenza a più di un capitello. Tuttavia, come vedremo tra breve, con il prosieguo dell'analisi tale aspetto si è rivelato non dirimente, mentre nuovi indizi hanno consentito di ipotizzare la compresenza delle due colorazioni all'interno di un unico elemento. In favore della possibilità che i diversi frammenti raccolti appartenessero a un singolo capitello, smontato e obliterato secondo specifiche modalità (cfr. § 6) depongono a) il fatto che alcune delle parti documentate attaccano tra loro, come la foglia d'angolo che si imposta sull'estremità destra del coronamento superiore della lesena o la protome alla quale era associata la foglia d'acanto con annessa base del collo, e b) la complementarietà dei frammenti raccolti, i quali sono riconducibili a tutte le partizioni di un singolo capitello: due foglie angolari, una voluta destra e una sinistra, una singola foglia con associata base per la protome ecc. In questo quadro si pone anche la questione inerente la definizione del possibile schema compositivo delle foglie d'acanto. Come rilevato, esse costituiscono un gruppo omogeneo per tecnica di lavorazione e sintassi stilistico-formale, pur con qualche piccola difformità imputabile alla mano degli artefici e al posizionamento dei diversi elementi, in prospettiva frontale o laterale. Allo stesso tempo, è possibile distinguere i sette esemplari documentati sulla base di tre specifici aspetti: a) differenziazione tra foglie angolari, due, e foglie piane, cinque; b) diversità della colorazione del campo su cui sono state applicate: rosso in quattro casi e verde in tre; c) trattamento del lato posteriore di ciascuna foglia piana: in due casi accuratamente lisciato, in altri due casi caratterizzato da uno spessore maggiore e da un profilo più irregolare determinato da diversi apporti di malta, in un caso, infine, recante la base del collo della protome e il perno di fissaggio a esso associato (Fig. 7, f). Nel tentativo di ricomporre un possibile schema complessivo, converrà procedere a partire dagli elementi di più sicura collocazione per poi verificare la dislocazione di quelli più incerti. Cominciamo, dunque, dalle foglie angolari, da posizionare alle due estremità del capitello di lesena. L'attacco ancora conservato tra la foglia angolare con fiore campanulato e l'estremità destra della base del kalathos è un sicuro indicatore circa la dislocazione dei due elementi caratterizzati da differente colorazione nella campitura del fondo. Un secondo elemento la cui collocazione risulta pressoché obbligata è la foglia d'acanto con annessa protome femminile, la quale doveva essere disposta nella zona centrale del kalathos. Il profilo inferiore particolarmente desinente e privo di una vera e propria base potrebbe non dipendere dallo stato di conservazione e indicare come questo elemento fosse collocato in posizione arretrata e con la zona inferiore non visibile. Inoltre, vi è ancora un dettaglio rilevato su questo elemento che sembra contribuire alla ricostruzione dello schema complessivo del nostro cespo acantino. Si tratta delle tracce di colore rosso riscontrabili sui lati della base del collo della protome e in corrispondenza dell'elemento di aggancio di questa al supporto cui l'apparato architettonico doveva essere applicato. Sulla base di tali tracce possiamo desumere come le foglie che dovevano disporsi ai lati di quella con la protome presentassero con ogni probabilità un fondo campito di rosso, configurando una vivace alternanza policroma determinata dalla giustapposizione del fondo verde della foglia centrale e di quelli rossi delle laterali (Fig. 7, e–f). Queste ultime possono essere riconosciute nella coppia di foglie caratterizzate dal lato posteriore lisciato, il quale doveva essere funzionale a far aderire i due elementi al supporto cui il capitello era applicato. Lo stato parzialmente lavorato e la minore profondità del retro di questi esemplari si spiegherebbe così con la dislocazione ai lati della foglia centrale e, con essa, con il loro posizionamento su un piano più arretrato. Conseguentemente, le restanti due foglie con il lato posteriore caratterizzato da uno spessore maggiore e da un profilo irregolare sarebbero identificabili con quelle ubicate in posizione più avanzata e in posizione ribassata rispetto alle precedenti. Queste ultime, infatti, dovevano impostarsi al di sopra del lato posteriore delle prime. Alla luce di ciò possiamo concludere come il kalathos del capitello che stiamo esaminando fosse rivestito da una doppia corona di foglie, una inferiore composta dalle due angolari e dalla coppia a fondo rosso-verde con il lato posteriore più profondo e irregolare, e una superiore composta dalle restanti tre foglie: quella centrale a fondo verde e le due laterali a fondo rosso. Questo secondo ricorso di foglie acantine doveva disporsi in posizione arretrata rispetto a quello inferiore, come indicato dal trattamento del retro, lisciato e meno spesso. Ciò, come abbiamo visto, doveva essere funzionale a far aderire tali elementi al supporto cui il capitello era applicato, come d'altra parte confermato anche dal perno posto sul retro del collo delle protome impostata sulla terza foglia del gruppo. Nel suo insieme, questa composizione avrebbe consentito di creare un vivace effetto volumetrico nel quale la testa femminile emergeva da un cespo vegetale policromo e articolato su più piani lievemente sfalsati.
Ammettendo che lo schema compositivo proposto sia corretto, possiamo allora definire una ricostruzione del semicapitello così come visibile nelle Figure 7–8. Esso sarebbe consistito in un esemplare di tipo corinzieggiante figurato caratterizzato da una vivace policromia. La testa muliebre emergeva dal kalathos con un andamento aggettante e con l'estremità superiore doveva lambire o coprire il settore corrispondente dell'abaco. Il volto della figura era disposto in prospettiva quasi frontale, denotando una leggera torsione del collo verso destra. Ai lati della protome, in posizione obliqua, si sviluppavano le due volute. Esse nascevano dal calice e ciascuna era sostenuta da una delle foglie angolari. Sopra di esse si impostava l'abaco. È probabile che negli spazi del kalathos compresi tra la protome femminile e le volute, in luogo dei caulicoli e delle elici, fossero collocati elementi floreali, così come fiori campanulati erano disposti in adiacenza dei margini inferiori delle foglie d'angolo.
Sulla base dello schema proposto, possiamo ricostruire per il capitello di lesena tuscolano delle dimensioni pari a circa m 0.50 di altezza e 0.90 di larghezza massima in corrispondenza delle volute. Il sommoscapo avrebbe misurato una larghezza di circa m 0.43/45; e ciò consente di ricostruire una lesena di altezza pari a circa m 4.3/5 (Figg. 8–9).
Lesene così definite dovevano con ogni probabilità inquadrare delle arcuazioni rivestite da archivolti stuccati, simili per cromia e sintassi decorativa alle volute del capitello. Il profilo della curvatura dei frammenti documentati presenta lievi oscillazioni, probabilmente dovute al posizionamento dei singoli elementi all'interno della curva dell'arco. Nell'insieme, essi consentono di ricostruire un'arcuazione di luce approssimativamente pari a m 1.95.
Il sistema era dotato, infine, di un rivestimento parietale (Fig. 10). Lo stato molto frammentario dei reperti rende complessa la lettura dello schema generale di questo apparato. La mancanza di resti riconducibili a specchiature e bugnati induce a scartare l'ipotesi di un allestimento imitante una muratura in blocchi isodomi. Al contrario, è probabile che esso configurasse una parete caratterizzata da ampie superfici bianche definite da una fascia rossa plasticamente rilevata. Questa avrebbe potuto definire dei riquadri. Un'altra possibilità è che essa corresse orizzontalmente suddividendo la parete in due zone disposte su piani sfalsati. Infine, una terza ipotesi prevede il posizionamento della fascia rossa a coronamento della parete, come ad esempio nel caso della Casa I.13.7 di Pompei. Sul piano formale, il nostro apparato trova un possibile parallelo in un rivestimento parietale rinvenuto in un contesto monumentale di Pantelleria e datato tra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C. Esso consisteva in una parete bianca, levigata e lucida, dalla quale emergeva una fascia mediana a rilievo di colore rosso (Fig. 10). Tale fregio, largo circa cm 7, era ornato da fiorellini a cinque petali in stucco bianco, non presenti in quello che stiamo esaminando. Gli editori di questo apparato vi identificavano genericamente un rivestimento parietale confrontabile con analoghi allestimenti noti in contesti nord-africani e della Sicilia.Footnote 31
Avendo definito lo schema complessivo del rivestimento architettonico in discorso ed esaminate le sue diverse componenti, dobbiamo ora chiederci quando esso fu realizzato e per che tipo di monumento. Come abbiamo visto (v. § 1), i reperti che stiamo esaminando sono stati rinvenuti in giacitura secondaria, provenendo da strati riferibili a due gruppi di attività, connessi alla parziale demolizione di una struttura in opera quadrata di tufo (USM 130) e alla costruzione di un nuovo muro opus incertum (USM 129). La realizzazione di quest'ultimo deve aver pressappoco coinciso con lo smontaggio dell'apparato di rivestimento in stucco; ciò è suggerito dall'utilizzo di una delle volute del capitello che abbiamo ricostruito all'interno del nucleo edilizio della struttura.Footnote 32 Entrambe le attività furono messe in atto nel corso della medesima fase, intorno alla fine del II secolo a.C. Questo dato costituisce, dunque, un terminus ante quem per la realizzazione del nostro apparato decorativo. A partire da questa prima indicazione cronologica possiamo provare a circoscrivere con maggior dettaglio la datazione del rivestimento architettonico in esame attraverso a) l'analisi delle sue caratteristiche formali (§ 5) e b) un esame dello sviluppo topografico e monumentale dell'area del foro di Tusculum nella diacronia (§ 6).
5 Inquadramento tipologico, stilistico e cronologico
L'elemento maggiormente significativo del sistema è senza dubbio rappresentato dal capitello che coronava la lesena. Tuttavia, prima di provare a metterne a fuoco gli aspetti compositivi e i tratti stilistici è necessaria una premessa. Essa riguarda la peculiarità del materiale e della tecnica in cui tale elemento architettonico è stato realizzato, soluzioni che per ragioni di conservazione si riscontrano in un novero assai limitato di attestazioni e solo entro certi limiti comparabili con il caso qui esaminato. Alla luce di queste particolari circostanze, la ricerca di possibili termini di confronto è stata orientata in prevalenza nell'ambito di produzioni in materiale diverso, lapideo e fittile.
5.1 I capitelli con protome antropomorfa di età ellenistica nella penisola italiana
Benché pertinente al coronamento di una lesena, e dunque non elemento a tutto tondo, quello che abbiamo poc'anzi provato a ricomporre può essere senza dubbio integrato nel repertorio dei capitelli figurati con protome antropomorfa (busti o sole teste) diffusi in diversi ambiti territoriali e culturali delle penisola italiana, dalla Sicilia al versante apulo fino all'Etruria e al Lazio (Figg. 11–12 e Tab. 1).Footnote 33 Di questo peculiare gruppo di elementi architettonici, il quale costituisce una declinazione del capitello cd. corinzieggiante o corinzio-italico, sono tutt'oggi dibattuti aspetti fondamentali quali l'origine del modello e i tempi, le dinamiche e le circostanze storiche della sua diffusione nei diversi orizzonti geografici dell'Italia antica.
Rispetto alla prima questione, la critica è ormai sostanzialmente concorde nell'individuare nell'ambiente artigianale tarantino – vivace e ricettivo rispetto alle sollecitazioni provenienti dai diversi angoli del Mediterraneo – il contesto culturale entro il quale il modello architettonico sarebbe stato concepito nel tardo IV secolo a.C.Footnote 34 In questo processo di elaborazione un ruolo rilevante sarebbe stato giocato dalla diffusione all'interno della ceramica apula (in particolare nei periodi Medio e Tardo) del motivo della protome antropomorfa entro articolati girali d'acanto o altri elementi fitomorfi (Fig. 13).Footnote 35 Tale ornato lo si ritrova plasticamente tradotto, già agli inizi del III secolo a.C., nel fregio dell'Ipogeo Palmieri di Lecce, nell'ambito del quale campeggia una testa femminile emergente da una corona di foglie.Footnote 36 Da Taranto, dunque, il tipo del capitello figurato si sarebbe diffuso in ambito apulo, in Campania, e in Italia centrale (v. Tab. 1). Questo fenomeno si sarebbe inserito in un discorso di interazione e ricezione di modelli formali e architettonici e maestranze tra la polis del Golfo e le élites italiche in atto nel IV secolo a.C.Footnote 37
Minore concordia di opinioni si è registrata in merito alla seconda questione, quella, cioè, inerente i tempi e le circostanze socio-culturali e politiche in cui questo peculiare tipo di capitello sarebbe stato recepito nei diversi distretti dell'Italia. Sintetizzare i termini del dibattito non è operazione semplice, tanto più che essi si sfrangiano e di volta in volta mutano, anche in maniera sostanziale, a seconda del contesto specifico in discorso. Nella Tabella 1 sono schematicamente delineate le proposte interpretative, e le discrasie, talvolta particolarmente divaricate, inerenti le proposte di datazione dei capitelli figurati noti. Provando quindi a schematizzare, si può dire che mentre per le attestazioni di area etrusca le datazioni proposte dagli studiosi si collocano tra lo scorcio del IV e il pieno III secolo a.C. – con inevitabili interrogativi inerenti origini, vettori e tempi della ricezione del modello in questo ambito territoriale e culturaleFootnote 38 –, in merito all'Italia meridionale, salvo pochi casi, l'opinione degli studiosi circa le dinamiche di diffusione del tipo architettonico si è per molto tempo polarizzata in due correnti di pensiero: l'una propensa a valorizzare una cronologia più alta (IV/III secolo a.C.) e l'altra, viceversa, tesa ad abbassarne la datazione (II secolo a.C.). Oggi, almeno intorno ad alcuni casi maggiormente documentati e/o indagati, registriamo una tendenziale convergenza verso un orizzonte cronologico compreso tra la metà del III e gli esordi del II secolo a.C.Footnote 39
In generale, una delle principali cause dei molti interrogativi che gravano sul corretto inquadramento cronologico dei capitelli figurati nei diversi contesti dell'Italia antica risiede nella generalizzata assenza di informazioni dettagliate sui contesti di provenienza dei diversi esemplari, sovente manomessi dall'attività dei cercatori clandestini o non fatti oggetto di indagini stratigrafiche e di edizioni sistematiche. Anche alla luce di queste problematiche che investono il dossier documentario a nostra disposizione, la nuova acquisizione tuscolana, per la quale siamo in grado di definire il contesto stratigrafico di riferimento e i materiali associati, può rivestire una particolare valenza informativa nel quadro del dibattito più generale.
5.2 Il capitello figurato tuscolano. Stile e cronologia
In base alla ricostruzione proposta (§ 4), il capitello in esame doveva presentare una struttura caratterizzata da un rapporto proporzionale tra sommoscapo e altezza compresa tra questo e l'abaco quasi pari a 1:1 e tra sommoscapo ed espansione massima delle volute di poco inferiore a 1:2 (Fig. 9). Tale schema accomuna quello tuscolano ai capitelli di area apula, campana e agli esemplari coresi, distinguendolo da quelli sicelioti, caratterizzati da un profilo maggiormente slanciato (Figg. 11–12). Per quanto riguarda la resa formale complessiva, un primo elemento che connota il capitello di Tusculum è rappresentato dall'effetto plastico e volumetrico che doveva essere determinato dalla tecnica di assemblaggio per singole parti. Tale soluzione potrebbe richiamare la messa in opera di capitelli, o altri elementi architettonici, rivestiti da lamine metalliche per i quali possediamo pochissimi riscontri archeologici,Footnote 40 ma di cui possiamo farci un'idea grazie alle testimonianze degli autori antichi e, soprattutto, alle raffigurazioni pittoriche.Footnote 41 Questa tecnica di montaggio, unitamente all'ornato policromo che faceva risaltare il bianco dell'acanto rispetto al fondo colorato del kalathos, doveva conferire all'insieme l'aspetto di una composizione vegetale vivida e rigogliosa. Ancora sul piano compositivo generale, un tratto che connota in maniera peculiare il capitello in esame è dato dal contrasto tra la semplicità del disegno dell'abaco e della base del kalathos, privi degli astragali e delle perline che, con diverse soluzioni, decorano invece gli altri esemplari magnogreci e sicelioti,Footnote 42 e la complessa articolazione del suo ornato vegetale, aspetto che viceversa richiama la tradizione italiota e siceliota. La doppia corona di foglie d'acanto la ritroviamo, infatti, in alcuni esemplari tarantini e in quelli di Brindisi, all'interno dei quali è caratterizzata dalla scansione in foglie di dimensioni diverse alternate e poste su piani sfalsati, e in quelli di San Leucio, nei quali sulla corona inferiore si impostano le grandi foglie angolari che sostengono le volute. Variazioni nei dettagli compositivi e, pur lievemente, nelle dimensioni delle foglie e la loro disposizione su piani sfalsati si riscontrano ancora nei primi esemplari di Taranto, nei capitelli brindisini nonché in alcune attestazioni siciliane (Tindari, Gela/Villa Jacona).
Passando dall'assetto generale agli aspetti morfologico-stilistici delle diverse partizioni, possiamo innanzitutto osservare come la formulazione adottata per la foglia d'acanto tuscolana risulti differente da quelle di tutti gli altri esemplari di tipo figurato noti. La forma della pagina fogliacea è, infatti, lontana dalla morbidezza dei capitelli tarantini e di quelli di San Leucio, nei quali, inoltre, le foglie che compongono la corona inferiore hanno un profilo largo e schiacciato, con i lobi arricciati o ripiegati verso l'esterno. Essa si distingue anche da quelli brindisini, in cui la foglia è contraddistinta dall'accentuata carnosità dei lobi e delle fogliette e per l'andamento serrato e verticale delle nervature (Fig. 11, e–f), nonché da quelli campani ed etrusco-laziali. In questi ultimi prevale lo schema “a palmetta” bassa e aggettante (Paestum, Vulci, Cori, Fig. 12, a, e–f), ovvero quello rigido con nervatura centrale desinente verso l'estremità superiore e fogliette a profilo semicircolare (Teggiano/Padula, Fig. 12, b). Anche ampliando la prospettiva dell'indagine alle attestazioni di capitelli corinzi non figurati documentate in area laziale entro il II secolo a.C. la situazione non sembra mutare. A Roma, per il periodo compreso tra la fine del III e gli esordi del II secolo a.C., registriamo l'attestazione del capitello ipoteticamente attribuito al rifacimento tardorepubblicano del tempio di Apollo Medico, il quale per le sue fattezze è stato identificato come possibile esito dell'attività di artigiani di origine siceliota giunti in città in seguito alla ovatio di M. Claudio Marcello dopo la conquista di Siracusa nel 212 a.C.Footnote 43 Il reperto, molto mal conservato, è stato messo in relazione a un esemplare impiegato in un sepolcro di Falerii Novi, anch'esso di tipo corinzio-siceliota.Footnote 44 Pressappoco coevi a queste attestazioni sarebbero, poi, i capitelli in peperino corinzio-italici del tempio della Magna Mater, anch'essi tuttavia evidentemente diversi dal capitello in esame sia nella struttura complessiva, sia per la resa formale dell'acanto e delle altre partizioni.Footnote 45 Differenze notevoli, infine, si riscontrano nei capitelli corinzi “canonici” di ispirazione attica degli ultimi decenni del secolo, quali quelli della tholos del Foro Boario, quello reimpiegato nella casa di Lorenzo Manili e quelli del Tempio B di Largo Argentina.Footnote 46
Se, dunque, il panorama dei capitelli corinzio-italici di età ellenistica noti nella penisola non sembra offrire riscontri adeguati ai fini di un inquadramento stilistico-formale dell'acanto tuscolano, maggiori spunti di riflessione su questo aspetto si ricavano rivolgendosi all'ambito egeo e al Mediterraneo orientale. Il carattere naturalistico e carnoso della foglia e il suo risalto volumetrico sono tratti che rimandano alle fondamentali esperienze della tradizione peloponnesiaca della seconda metà del IV-inizi del III secolo a.C. E’ in questo contesto, nei monumenti di Tegea, Epidauro, Nemea, Olimpia, che, come è stato da tempo osservato, si realizza il processo di vegetalizzazione e di “affrancamento” della foglia dalla struttura del kalathos, che troviamo sancito nella plasticità che contraddistingue il capitello di Tusculum (Fig. 14).Footnote 47 Nell'ambito di tali redazioni la foglia acquista progressivamente una forma aperta e piena perdendo ogni elemento di rigidità nel disegno. Le nervature si fanno flessuose, i lobi rigonfi e le fogliette assumono un contorno più definito e il loro profilo si articola e si sfrangia, scandito da occhi d'ombra ravvicinati e dalla forma arrotondata e semichiusa. Nel quadro definito da queste coordinate, la struttura dell'acanto tuscolano si caratterizza per la particolare enfasi riposta sulla costolatura centrale, spessa e segnata dal risalto volumetrico, e per la ricercata armonizzazione tra le nervature laterali, ricurve e divaricate, e le fogliette che ne definiscono il contorno. Tali connotati si colgono nel terzo quarto del IV secolo a.C. nei capitelli del tempio di Atena Alea a Tegea,Footnote 48 sfortunatamente noti solo in frammenti (Fig. 14, c–d), in quelli del tempio di Zeus a Nemea (coi primi imparentati, Fig. 14, e)Footnote 49 e in quelli del Propileo di Epidauro (Fig. 14, f), datati tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C.Footnote 50
Tendenze analoghe e per certi versi ancor più affini al reperto che stiamo esaminando le riscontriamo in alcuni capitelli alessandrini datati nel III secolo a.C. nei quali, parimenti, è stata riconosciuta una dipendenza dai modelli della tradizione peloponnesiaca (Fig. 15).Footnote 51 Negli esemplari più antichi si coglie una simile restituzione dei lineamenti generali della foglia: il profilo aperto dell'acanto, il risalto conferito alla costolatura centrale, l'andamento solo lievemente ripiegato della cima, il contorno irregolare e mosso delle fogliette. Rispetto a quello di Tusculum, tuttavia, questi capitelli si distinguono per le concavità che attraversano la superficie della foglia, enfatizzando il dorso delle nervature e rendendola meno carnosa, e per la resa degli occhi d'ombra, più grandi e aperti. Tali aspetti di difformità tendono ad affievolirsi nel corso del secolo, come nel caso dei capitelli del santuario di Hermopoulis Magna (terzo quarto del III secolo a.C.), nei quali l'acanto presenta una forma gonfia, con i lobi definiti da profonde increspature dall'andamento centrifugo e culminanti in tre fogliette (Fig. 15, d). Simili tendenze si riscontrano, inoltre, in un altro gruppo di capitelli dall'Oriente ellenistico, quelli del Mausoleo di Belevi (Efeso, Fig. 15, e). L'identificazione di questo come monumento funerario di Antiochos II Theos, se corretta, ne ancorerebbe la datazione negli anni centrali del III secolo a.C.Footnote 52 In essi rileviamo le medesime tendenze appena descritte: la ricercata resa naturalistica della foglia, il suo aspetto pieno e contraddistinto dalla spessa e ben profilata costolatura centrale; di contro, elementi di difformità sono costituiti dalla forma lanceolata delle fogliette e da una più accentuata piega assunta dalla cima. Dunque, pur senza trovare un termine di paragone definitivamente calzante, l'acanto del capitello tuscolano potrebbe essere incluso nel novero delle varianti dei modelli peloponnesiaci della seconda metà del IV secolo che vengono elaborate con accenti ed esiti diversificati all'interno di differenti tradizioni architettoniche del Mediterraneo ellenistico. I rilevati motivi di assonanza con alcuni esemplari di ambiente alessandrino e microasiatico contribuiscono a delineare la geografia di questo processo di rielaborazione, di cui il capitello di Tusculum potrebbe rappresentare una ulteriore declinazione.
Un altro aspetto che connota in maniera peculiare il capitello in esame è costituito dal diffuso ricorso a motivi floreali quali elementi ornamentali distribuiti in più punti della sua struttura. Come è stato rilevato, l'origine del motivo va probabilmente ricercata in quella “tendenza al naturalismo ornamentale” che caratterizza alcune tradizioni architettoniche greche nel IV secolo.Footnote 53 Una delle attestazioni più precoci in tal senso è costituita dai capitelli del monumento di Lisicrate, degli anni ’30 del IV secolo.Footnote 54 Tuttavia, è ancora un volta nel contesto dell'ellenismo alessandrino che l'uso dell'elemento floreale all'interno dei registri decorativi del capitello trova la sua più ampia e variegata applicazione. Qui, a partire dal III secolo a.C., fiori di varia forma, spesso associati a flessuosi girali vegetali, si inseriscono nello spazio tra le elici e le volute, in posizione centrale sotto l'incontro delle elici o, secondo lo schema più diffuso, in corrispondenza della zona mediana dell'abaco.Footnote 55
Il ricorso a infiorescenze quali terminazioni di lunghi e articolati tralci è documentato in ambito italiota nella ceramografia apula,Footnote 56 dove sovente esse sono associate a protomi femminili nello schema della Rankengöttinnen (Fig. 13), e nelle produzioni scultoree, all'interno dei fregi a girali applicati a settori diversi di edifici funerari e di culto.Footnote 57 Anche in questo caso il contesto artigianale tarantino sembra aver svolto un ruolo preminente nell'elaborazione e diffusione di questi modelli formali nell'ambito di dinamiche di circolazione che coinvolgono l'opposta sponda dell'Adriatico.Footnote 58 Spettacolari attestazioni plastiche di questi schemi iconografici le ritroviamo anche in Etruria; esempi ne sono le cd. lastre del Museo Gregoriano Etrusco o una da Montelupo Fiorentino.Footnote 59 La fortuna che il motivo ha riscosso in diversi orizzonti e contesti architettonici della penisola nel IV e nel III secolo a.C. non sembra aver coinvolto il lessico formale dei capitelli coevi. Ne sono, infatti, sostanzialmente sprovvisti quelli figurati noti, compresi gli esemplari in cui l'ornato vegetale è più articolato, e parimenti le altre attestazioni di tipo corinzieggiante, nelle quali, quando presente, l'elemento floreale è limitato al coronamento delle elici in prossimità dell'abaco.Footnote 60 Anche sotto questo aspetto, così come in relazione alla forma del suo acanto, l'esemplare tuscolano configura a oggi un'attestazione peculiare e apparentemente isolata.
Secondo l'ipotesi proposta, alcuni dei motivi floreali documentati dovevano collocarsi nello spazio compreso tra la testa femminile e l'attacco delle volute. Queste ultime dovevano nascere dalla seconda corona di foglie per poi arricciarsi in una spirale poggiante al di sopra delle foglie angolari. La loro forma, caratterizzata dall'ampio canale liscio e a sezione lievemente concava e bordata da un vistoso listello piatto di colore rosso culminante in un occhio bombato e di notevoli dimensioni, risulta analoga a quella delle volute dei capitelli del Tempio Dorico-Corinzio di Paestum e a quelli dell'ignoto monumenti di Cori (Fig. 12, f).Footnote 61 Un aspetto caratterizzante le volute del capitello tuscolano è rappresentato dall'ampia superficie del dorso sporgente dall'abaco sulla quale si dispiega una grande foglia d'acanto attraversata dalla solita spessa nervatura centrale. Tale soluzione è stata resa possibile in virtù della funzione non strutturale di questo elemento architettonico e, ancora una volta, dalla tecnica di assemblaggio per parti separate; nel caso specifico, ciò ha comportato l'inserimento di un perno di fissaggio autonomo e di notevoli dimensioni all'interno del nucleo di ciascuna voluta (cfr. § 3 e Fig. 4, a).
Emergente dal cespo d'acanto, era la protome femminile (Fig. 6, a–b). Occorre ribadire come un tentativo di definizione dell'inquadramento stilistico di questa scultura deve tenere conto delle variabili imposte dalla peculiarità del materiale in cui essa è stata realizzata e della sostanziale assenza di elementi di comparazione della medesima fattura. Fatta questa premessa, possiamo concentrarci su alcuni elementi della resa delle figura muliebre significativi ai fini della nostra indagine. Il profilo del viso, pieno e caratterizzato da una superficie levigata e priva di risalti, in cui la linea della fronte si salda verticalmente con il dorso del naso quasi senza soluzione di continuità (Fig. 6, b), e il trattamento della capigliatura, organizzata in ciocche sottili e ondulate divise dalla scriminatura centrale, richiamano modelli greci tardo-classici e, in ambito italico, espressioni di alto artigianato coroplastico quale la bella testa femminile dal santuario dello Scasato di Falerii (Fig. 16).Footnote 62 In questa direzione orienta anche la forma della fronte, ampia e dal profilo triangolare, definita superiormente dall'andamento dei capelli. Per altro verso, aspetti quali la resa degli occhi, leggermente rilevati e con le palpebre ben delineate, la bocca carnosa, attraversata dall'infossamento centrale del labbro superiore e incorniciata da fossette agli angoli, e la forma del mento, tondo e un poco prominente, avvicinano la scultura in esame ai più raffinati busti votivi del Casaletto di Ariccia e alle lastre con teste tra girali fitomorfi e amorini del Museo Gregoriano Etrusco (Fig. 17). In particolare con queste ultime quella tuscolana condivide la prospettiva non pienamente frontale e l'appena accennata espressività data dalla bocca lievemente dischiusa e dalla resa degli occhi.Footnote 63 Questi tratti indirizzano il nostro manufatto verso una collocazione entro un orizzonte cronologico compreso nei decenni finali del III secolo a.C. o, al limite, agli esordi del II.
Come noto, le terrecotte architettoniche del santuario dello Scasato sono state datate entro un arco cronologico compreso tra la fine del IV e la metà del III secolo a.C.Footnote 64 L'origine dei modelli che ne avrebbero ispirato la realizzazione sarebbe da ricercare nelle principali tradizioni scultoree della seconda metà del IV secolo a.C. e la loro attestazione in ambito falisco da leggere nell'ottica di una plausibile mediazione attraverso l'ambiente magno-greco.Footnote 65 A tale riguardo, l'opinione più accreditata tra gli studiosi individua nel contesto artigianale tarentino il possibile tramite di tale dinamica di trasmissione.Footnote 66
Influssi di matrice tarentina sono stati riconosciuti anche nei due busti di Cerere e Persefone dal deposito del Casaletto di Ariccia,Footnote 67 la cui realizzazione, secondo l'orientamento prevalente nella critica, si collocherebbe ancora nel corso del III secolo a.C.Footnote 68
In definitiva, il capitello tuscolano, in virtù delle sue caratteristiche stilistico-formali, si configura come un esito di quel processo di originale elaborazione in ambiente italico di modelli e soluzioni formali originatesi in Grecia nel IV secolo e che trovarono poi diffusione e nuove declinazioni nell'ambito dei lessici architettonici di diverse tradizioni artigianali del Mediterraneo ellenistico. La definizione delle dinamiche specifiche e dei vettori sottesi alla trasmissione di tali modelli fino al contesto laziale può essere ricostruita solo per approssimazione. Esse vanno ricercate nel più ampio fenomeno legato alla diffusione in ambiente italico di forme ed espressioni della plastica greca, non solo con funzione architettonica, ma anche votiva e legata alla statuaria di più alto livello, che prende avvio nel IV secolo per protrarsi, attraverso traiettorie diversificate, fino all'età di Augusto.Footnote 69 La realizzazione del capitello di Tusculum, che, alla luce delle considerazioni proposte, riteniamo possa essere collocata tra gli ultimi decenni del III e gli esordi del II secolo a.C., potrebbe dunque essere letta nel quadro di tale fenomeno e, più specificamente, nell'ambito del processo di intensificazione della trama di contatti e scambi di modelli, opere e maestranze di origine greca e italiota che coinvolge la penisola, e il Mediterraneo, in concomitanza con l'espansione di Roma verso l'Italia meridionale. Questa lettura offrirebbe una chiave interpretativa al carattere spiccatamente eclettico del manufatto in esame, il quale, come abbiamo visto, configura un'attestazione assai peculiare e per molti aspetti isolata nel quadro delle nostre conoscenze sulla cultura architettonica italica di questo periodo.
6 Ipotesi sull'identificazione del monumento
Avendo definito lo schema complessivo dell'apparato di rivestimento architettonico in cui i reperti in esame si inserivano e dopo aver tentato di circoscrivere in maniera più puntuale l'orizzonte cronologico nell'ambito del quale esso venne realizzato a partire dal terminus ante quem offerto dai dati stratigrafici, dobbiamo porci un ultimo interrogativo: a quale monumento tale sistema decorativo era applicato?
Per provare a offrire una possibile risposta a questa domanda è utile riassumere brevemente i dati sin qui acquisiti:
a) tutti i frammenti considerati sono riconducibili al medesimo sistema decorativo sulla base di motivazioni di carattere tecnico/costruttivo, stilistico-formale e fisico-chimico;
b) la maggior parte di essi è pertinente a settori di un sistema di rivestimento composto da lesene e arcuazioni: capitello, parasta, archivolto;
c) l'arco cronologico entro il quale possiamo inquadrare la sua realizzazione è compreso tra la fine del III secolo e gli inizi del II secolo a.C.;
d) il momento nel quale possiamo situarne lo smontaggio e la dismissione si colloca intorno alla fine del II secolo a.C., epoca in cui lungo il margine meridionale della piazza forense fu messa in atto una parziale demolizione di una struttura più antica (USM 130) e venne edificato il muro USM 129; attività alle quali si associano gli strati in cui vennero depositati i frammenti oggetto di questo studio.
Alla luce di queste informazioni e assumendo che il monumento che stiamo cercando fosse ubicato in un'area prossima al luogo in cui l'apparato fu obliterato, per progredire nella nostra indagine dobbiamo allora considerare quanto oggi conosciamo del versante sud del foro di Tusculum per il periodo compreso tra la media e la tarda età repubblicana o, più specificamente, entro la fine del II secolo a.C., momento nel quale il nostro apparato architettonico venne obliterato.
6.1 Il versante meridionale del foro di Tusculum tra III e II secolo a.C.
L'analisi sistematica e dettagliata degli assetti topografici e monumentali assunti dal foro di Tusculum nel corso del tempo e l'esame delle trasformazioni che ne scandirono la storia saranno oggetto di una edizione monografica attualmente in preparazione.Footnote 70 In questa sede illustriamo in forma necessariamente schematica la sequenza di modifiche, nuove costruzioni e obliterazioni che ebbe luogo lungo questo versante del foro durante il periodo cronologico qui considerato. Tale schema costituisce l'esito dell'integrazione tra i dati raccolti in fase di scavo e quelli derivanti dal riesame della documentazione bibliografica e d'archivio relativa alle campagne precedenti.Footnote 71
- Intorno ai decenni finali del VI secolo a.C. in corrispondenza del versante occidentale del lato sud del foro venne edificata una imponente piattaforma sostruttiva in blocchi di tufo rosso, che in bibliografia ricorre con il nome di “podio arcaico.”Footnote 72 Di tale costruzione è noto un ampio settore corrispondente alla sua estremità sud-occidentale, mentre non se ne conosce il limite nord; il lato orientale, invece, è forse identificabile in una struttura muraria scoperta nel corso delle recenti campagne di scavo a una distanza di m 25 a est del settore appena descritto. Questa costruzione risulta identica per materiale, tecnica edilizia e orientamento a quella nota sul versante opposto. Qualora essa fosse effettivamente identificabile con il limite orientale del “podio arcaico,” si potrebbe ricostruire la lunghezza complessiva in senso est-ovest di questa piattaforma corrispondente a circa m 32, per una profondità documentata di almeno m 10 (Fig. 18).Footnote 73
- La mole del cd. “podio arcaico” dovette per lungo tempo condizionare l'assetto di questo settore dell'area del foro. Infatti, una serie di strutture cronologicamente inquadrabili tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. venne realizzata nelle sue vicinanze e in appoggio a esso sempre rispettandone l'orientamento (Fig. 18).Footnote 74
- Tra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C. si attua una riorganizzazione complessiva dell'area. Gli edifici più antichi vengono distrutti e una nuova costruzione sorge al loro posto. Quest'ultima viene realizzata sulla base di un nuovo e diverso orientamento (Fig. 19). Di questo edificio conosciamo a) il limite perimetrale nord, costituito da una lunga fondazione in blocchi di tufo granulare sulla quale poggiavano blocchi dotati di incassi e interpretati come “fondazioni di un colonnato con intercolumni di ca. m 3” (Fig. 20);Footnote 75 b) il limite perimetrale est, rappresentato da un muro in opera quadrata di tufo dello spessore di circa m 1.30,Footnote 76 sul quale si impostava una ulteriore opera muraria, anch'essa realizzata in blocchi di tufo ma di dimensioni minori rispetto a quelli del muro sottostante;Footnote 77 c) il limite perimetrale meridionale, costituito da un muro identico a quello appena descritto e disposto ortogonalmente a esso, il quale venne costruito inglobando una più antica sostruzione S1100 (Fig. 19).Footnote 78 Dello spazio interno a questo edificio di forma rettangolare conosciamo molto poco per quanto riguarda questa fase cronologica. Ciò è probabilmente da imputare al fatto che il monumento rimase in uso sino alla piena epoca imperiale e nel corso del tempo subì diversi interventi di rifacimento.Footnote 79
- Alla fine del II secolo a.C. l'edificio rettangolare subisce alcuni interventi che comportano il sondaggio di settori delle sue fondazioni. In questa occasione si procede anche alla demolizione parziale del suo fianco orientale (USM 130). Nello spazio interno alla struttura viene realizzata una nuova pavimentazione e si gettano le basi per colonne o pilastri.Footnote 80 Inoltre, all'esterno del monumento, sul suo fianco est, viene costruito un muro in opera incerta orientato in senso est-ovest e avente funzione di terrazzamento per questo lato della piazza del foro (Figg. 3–22).Footnote 81 Come abbiamo visto, questo momento coincide con lo smontaggio dell'apparato architettonico oggetto di questo studio (v. supra).
Nella sequenza di interventi/trasformazioni verificatesi lungo il lato meridionale del foro di Tusculum e qui sinteticamente descritte possiamo individuare due momenti di maggiore discontinuità. Il primo coincide con il più antico allestimento monumentale di questo spazio tramite la costruzione del “podio arcaico.” Il secondo si colloca nel corso della seconda metà del III secolo a.C., allorquando le costruzioni realizzate sino a quel momento sono obliterate e al loro posto si erige un nuovo monumento. L'edificazione di quest'ultimo rivela un cambiamento sostanziale nell'assetto topografico di questo settore del foro in quanto esso è disposto secondo un orientamento nuovo e per la prima volta diverso da quello che dalla fine del VI secolo a.C. era stato imposto dal “podio arcaico” (Fig. 19). Tale monumento, definito “Edificio porticato,” è stato interpretato da X. Dupré, pur con tutte le cautele del caso, come una prima basilica del foro tuscolano.Footnote 82 Le acquisizioni archeologiche effettuate successivamente, sino alle ultime campagne di scavo 2019–2022, hanno da un lato consentito di integrare e dettagliare questa proposta originaria, in particolare in relazione alla cronologia del monumento,Footnote 83 e dall'altro lato di ripensarne alcuni aspetti.Footnote 84 Oggi possiamo dire che allo scorcio del III o all'inizio del II secolo a.C. un edificio di cui possiamo definire lo schema complessivo viene realizzato lungo il lato sud del foro. Questo monumento resterà in uso con funzione basilicale, conservando lo stesso impianto, fino alla metà del I secolo d.C., quando sarà sostituito da una basilica più grande.Footnote 85
La realizzazione dell'apparato di rivestimento architettonico che stiamo esaminando, alla luce della datazione che abbiamo proposto per esso, si inquadrerebbe cronologicamente nell'ambito della seconda grande cesura che abbiamo rilevato nella storia del paesaggio topografico e monumentale del foro di Tusculum. In questa prospettiva dobbiamo allora chiederci se la sua elaborazione non sia connessa alla costruzione dell’“Edificio porticato.” Verso questa lettura, infatti, orientano tre fondamentali indizi:
a) Gli orizzonti cronologici definiti per la realizzazione e per l'obliterazione dell'apparato architettonico risultano comparabili rispettivamente con la cronologia della costruzione dell’ “Edificio porticato” e con quella di un pervasivo rifacimento attuato su tale struttura (v. supra). Ciò rende plausibile la possibilità che lo smontaggio della decorazione in stucco abbia coinciso con un intervento di restauro/modifica del monumento.
b) I contesti di obliterazione delle componenti dell'apparato di rivestimento, come abbiamo visto, coincidono in parte con accumuli realizzati nello spazio interno al fianco orientale della fondazione del monumento (USAM 130), compreso entro una sorta di ambitus sottostante il piano pavimentale, e per altra parte con lo spazio immediatamente esterno a questo muro, in relazione funzionale con la costruzione dell'USM 129 che viene addossata a esso.
c) Lo schema architettonico ricostruito attraverso gli elementi documentati. Infatti, se è vero che tra il III e il II secolo a.C. capitelli figurati sono attestati in monumenti funerari e in edifici templari (v. Tab. 1), bisogna tuttavia rilevare come, da un lato, l'ubicazione del monumento cui il nostro apparato era applicato all'interno dell'area forense induca a escludere l'ipotesi di attribuzione a un sepolcro e, dall'altro, che lo schema basato su arcuazioni inquadrate da lesene renda complessa (ancorché non definitivamente esclusa) la sua pertinenza a un tempio. A questo riguardo, inoltre, non è secondario ricordare come oggi la nostra conoscenza dell'assetto topografico del lato sud del foro di Tusculum abbia fatto notevoli passi in avanti e, tuttavia, la presenza qui di un tempio (o di altro edificio monumentale diverso dalla basilica) non si documenti anteriormente alla prima età imperiale.Footnote 86
A questo punto, per provare a verificare l'effettiva plausibilità dell'ipotesi appena formulata, proviamo a integrare i diversi set di dati archeologici sin qui considerati: quelli relativi all'apparato di rivestimento e quelli inerenti il suo possibile contesto architettonico.
6.2 La prima basilica del foro di Tusculum: ipotesi ricostruttiva
I dati archeologici disponibili consentono di definire l'impianto del monumento realizzato agli esordi del II secolo a.C. lungo il versante meridionale del foro di Tusculum. Era un edificio a pianta rettangolare di circa m 18×26. Lo spazio interno era articolato da un colonnato. Di questo, come abbiamo visto, si conservano due fondazioni disposte lungo il medesimo allineamento in senso nord-sud.Footnote 87 Lo spazio compreso tra questi basamenti e il muro perimetrale sud-orientale dell'edificio configura una ambulatio di circa m 3.3. La medesima distanza separa il basamento più settentrionale dalla fondazione nord dell'edificio, corrispondente al lato del monumento affacciato sulla piazza forense. Quest'ultima era caratterizzata dalla presenza di un “colonnato […] con intercolumni di ca. m 3” di cui lo studioso ha documentato le fondazioni (Figg. 20–21).Footnote 88 Tali evidenze consentono di ricostruire un edificio di tipo basilicale costituito da una grande aula rettangolare internamente organizzata intorno a uno spazio centrale ampio circa m 15.5×7.4 circondato su tutti i lati da una ambulatio (Fig. 22).
Nell'ambito del contesto architettonico così definito, dobbiamo chiederci dove avrebbe potuto essere applicato l'apparato di rivestimento in stucco che stiamo analizzando. A riguardo sembra possibile proporre due ipotesi. Entrambe prevedono la sua collocazione in corrispondenza della facciata principale del monumento, rivolta verso il foro: in un caso in corrispondenza del lato esterno, nell'altro su quello interno. Lo schema che abbiamo ricostruito, costituito da arcuazioni inquadrate da lesene infatti ben si adatta a decorare una facciata “aperta.” In questa prospettiva, qui la documentata presenza di basamenti per un “colonnato” potrebbe altresì essere intesa nell'ottica di una serie di pilastri in luogo delle colonne. In merito a ciò, è significativo rilevare come il modulo composto da una arcuazione inserita tra due lesene (§ 4, Fig. 8) configuri un intercolumnio tra le due lesene pari a circa m 3 (m 2.95 ca.), dunque compatibile con quello rilevato per i basamenti del lato nord. In questo caso, dunque, la facciata del monumento tuscolano sarebbe stata scandita da nove pilastri inquadranti otto passaggi arcuati (Fig. 22).Footnote 89 Tra le due possibili soluzioni, quella che vuole l'apparato in stucco decorare la facciata esterna risulta affascinante, ma si presta all'obiezione dettata dall'ottimo stato di conservazione dei reperti e del loro ornato policromo. Tale circostanza potrebbe indicare come esso non sia stato esposto agli agenti atmosferici. Anche alla luce di ciò acquisisce consistenza la possibilità che, invece, il sistema decorativo fosse applicato in corrispondenza del lato interno dei pilastri disposti lungo la facciata della basilica, a ribattere il passo del colonnato che definiva il perimetro dello spazio centrale.
In definitiva, se la lettura proposta è corretta, l'impianto planimetrico della basilica di Tusculum sarebbe stato non troppo dissimile da quello della basilica di Cosa, le cui dimensioni, però, erano maggiori (Fig. 23).Footnote 90 Altro elemento di differenziazione rispetto al monumento cosano sarebbe la presenza del tribunal sul lato posteriore dell'aula principale, non documentata a Tusculum.
7 Qualche appunto conclusivo
In conclusione, il gruppo di frammenti in stucco scoperto nel foro di Tusculum rappresenta a oggi un'attestazione unica, per lo schema architettonico che esso configura e per l'orizzonte cronologico al quale può essere ricondotto grazie all'analisi stratigrafica e a una più circoscritta puntualizzazione su base tipologico-formale.
Se correttamente interpretata, la soluzione dell'arco inquadrato da un ordine architettonico – il cd. Theatermotiv – suggerita dall'apparato decorativo in esame, rappresenterebbe la prima attestazione nota di tale schema nell'architettura romana, anticipando quelle adottate su scala notevolmente più monumentale all'interno dei santuari di “Giove Anxur” a Terracina, Praeneste e Tibur, nonché nel Tabularium.Footnote 91
La pertinenza del sistema decorativo tuscolano alla prima basilica del foro è suggerita dai molteplici indicatori precedentemente esposti (§ 6). L'analisi integrata dei resti strutturali di questo edificio e delle caratteristiche architettoniche dell'apparato di rivestimento ricomposto dalle sue diverse membrature consentono di proporre una ricostruzione dell'impianto e della morfologia in elevato di uno dei più antichi, nonché meglio conservati, monumenti pubblici nel suo genere. La sua costruzione, infatti, si collocherebbe in un orizzonte temporale pressappoco coincidente con le prime analoghe realizzazioni di Roma.Footnote 92 Sul piano storico, è interessante rilevare come gli esordi del II secolo a.C. rappresentarono un periodo particolarmente favorevole per alcune delle più importanti gentes di origine tuscolana attive sulla scena politica di Roma, quali la Porcia e la Fulvia. La possibilità che la fortuna politica di alcuni dei maggiori esponenti di queste famiglie possa aver determinato riverberi positivi, in termini di iniziative volte a promuovere il decor, anche a livello locale, cioè nei centri maggiormente legati a queste personalità, appare tutt'altro che improbabile. Nel caso di Tusculum essa è, anzi, suffragata da un documento epigrafico, costituito da una base per un donario recante l'iscrizione M(arcus) Fulvius M(arci) f(ilius) | Ser(vi) n(epos) con)s(ul) | Aetolia cepit, la quale doveva sorreggere una delle opere prelevate come bottino di guerra da M. Fulvio Nobiliore al termine della sua campagna contro la Lega Etolica, celebrata con un trionfo nel 189 a.C.Footnote 93 Buona parte dei beni concessi nella disponibilità di Nobiliore dovette essere destinata a ornare la aedes Herculis Musarum che egli stava edificando a Roma, al centro del lato settentrionale del circo Flaminio, come suggerito da una base molto simile a quella tuscolana proveniente da quella zona.Footnote 94 Tuttavia, Nobiliore dovette destinare parte delle manubiae concessegli dal senato anche alla sua città d'origine, come indicato dalla base in questione. I dati disponibili non consentono di spingere oltre il ragionamento e ipotizzare nessi specifici tra l'attività di M. Fulvio Nobiliore nei primi decenni del II secolo e la realizzazione della basilica nel foro di Tusculum. Tuttavia, essi concorrono a definire la cornice storica entro la quale possiamo situare tale iniziativa.
Infine, un ultimo aspetto significativo emerso dall'esame dell'apparato di rivestimento architettonico tuscolano è costituito dal nesso stilistico-formale che esso rivela rispetto a modelli di matrice ellenistica e specificamente italiota. Pur con alcune peculiarità, le assonanze con produzioni di origine tarantina induce a interrogarsi circa l'origine degli artifices che realizzarono tale sistema decorativo.