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WOLFGANG FRITZ VOLBACH COME MUSEOLOGO A ROMA. UNA RIFLESSIONE CON TESTI INEDITI

Published online by Cambridge University Press:  18 December 2024

Abstract

L'articolo si propone di presentare lo storico dell'arte paleocristiana e bizantina tedesco Wolfgang Fritz Volbach (1892–1988) come museologo, alla luce di alcune ricerche recenti, di nuove acquisizioni documentarie e di una più ampia rassegna della sua attività tra Magonza, Berlino e Roma. Il testo si concentra sul suo periodo romano (e in particolare vaticano), sia in qualità di precoce professore di museologia al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma, sia come attivo collaboratore nella riorganizzazione del Museo Sacro della Biblioteca Vaticana. Si riflette poi anche sulle sue idee di museologo, attingendo ai suoi testi critici e ai musei in cui ha lavorato tra Berlino e Magonza.

This article aims to present the German early Christian and Byzantine art historian Wolfgang Fritz Volbach (1892–1988) as a museologist, in the light of some recent research, of new documentary acquisitions and of a broader review of his work between Mainz, Berlin and Rome. The text focuses on his Roman (and in particular Vatican) period, both as a precocious professor of Museology at the Pontifical Institute of Christian Archaeology in Rome, and as an active helper in the reorganization of the Museo Sacro of the Vatican Library. It also reflects on his ideas as a museologist, drawing on his critical texts and the museums in which he worked between Berlin and Mainz.

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Articles
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Copyright © British School at Rome 2024

La figura di Wolfgang Fritz Volbach (1892–1988), molto nota negli studi di storia dell'arte tardoantica, è stata oggetto negli anni recenti di alcuni interessanti contributi di tipo biografico (Kinzig, Reference Kinzig, Brands and Maischberger2012a; Mietke, Reference Mietke, Ehler, Fluck and Mietke2017) e, negli ultimi tempi, di un approfondimento del suo ruolo come museologo per l'arte e l'archeologia paleocristiana e bizantina.Footnote 1 In questo articolo si presentano i risultati di tale ultima ricerca: dopo aver richiamato brevemente la sua biografia, specialmente nelle parti legate al suo lavoro in vari musei, ci si focalizzerà sul periodo di Volbach a Roma come impiegato del Museo Sacro della Biblioteca Vaticana e professore di museologia. Si analizzeranno poi i concetti e le teorie museologiche che guidavano il lavoro di Volbach in museo e, alla fine, si rifletterà sull'importanza che avevano nel suo lavoro i calchi e le riproduzioni.

Per richiamare solo brevemente i momenti principali della biografia di Volbach connessi alla sua carriera come museologo,Footnote 2 va segnalato che egli studiò storia dell'arte, archeologia classica e storia medievale a Tubinga e conseguì il dottorato nel 1915 con Christian Rauch a Giessen. Nel 1912, mentre era ancora studente, lavorò come tirocinante presso il Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza, dove ottenne il primo incarico nel 1916, compilando un catalogo di opere in avorio paleocristiane, poi divenuto un caposaldo della materia (Volbach, Reference Volbach1916). Nello stesso anno si trasferì al Nassau State Museum di Wiesbaden. Dal 1917 lavorò nel Dipartimento di Arte Paleocristiana e Bizantina del Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino sotto la guida di Wilhelm von Bode e Oskar Wulff, e lì fu nominato curatore nel 1929 e nel 1930 responsabile del dipartimento paleocristiano e della collezione di sculture medievali. In questa sezione si occupò, fino al 1933, di riorganizzare la collezione. Con l'acuirsi delle tensioni politiche della Germania nazionalsocialista, Volbach (ebreo per parte di nonna materna e vicino ai circoli culturali berlinesi alternativi) decise di trasferirsi a Roma, dove si inserì negli ambienti vaticani e in quelli antifascisti romani: visse all'interno delle mura vaticane, lavorò per il Museo Sacro della Biblioteca Apostolica fino al 1946, e più brevemente per il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. Dopo la Seconda guerra mondiale, tornò in Germania.Footnote 3 Dall'estate del 1946 lavorò dapprima presso l'amministrazione provinciale dell'Assia-Palatinato a Neustadt an der Haardt come responsabile del dipartimento di pubblica istruzione e dal 1947 presso il Ministero della Cultura della Renania-Palatinato a Coblenza come consulente per la conservazione di monumenti, musei e biblioteche. Nel 1950 tornò finalmente a Magonza in qualità di vicedirettore del Römisch-Germanisches Zentralmuseum e nel 1953 ne divenne direttore. Andò in pensione nel 1958 ma continuò a collaborare a molte mostre importanti e a scrivere moltissimi lavori scientifici.

Una questione a parte sono anche i suoi viaggi. Iniziò a viaggiare in qualità di borsista dell'Istituto Archeologico Germanico nel 1922, recandosi in vari luoghi in Europa, Egitto, Turchia. Nel 1931 viaggiò da Berlino a Parigi per partecipare alla Mostra di Arte Bizantina nel Museo delle Arti Decorative a Parigi (Volbach, Reference Volbach1931–2), assimilando le novità museali viste nella Ville Lumière. Questi movimenti lo portarono ad avere una conoscenza diretta dei grandi musei europei e di alcuni specifici luoghi come i musei del Cairo. Nascono in questo frangente i contatti con i colleghi stranieri che continuarono per tutta la sua vita e lo portarono a partecipare a tantissime mostre internazionali.

Il periodo più importante per capire la figura di Volbach come museologo sono gli anni tra il 1934 e il 1940. In questo periodo Volbach fu professore di ‘Museologia’ al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, fondato nel 1925 da papa Pio XI (Brandt, Reference Brandt2007). Questo istituto aveva un obiettivo molto chiaro: doveva formare le generazioni di archeologi cristiani nel modo più moderno dal punto di vista scientifico, e doveva anche essere un punto di riferimento internazionale per tutti gli studiosi attivi nell'archeologia cristiana. I primi professori furono soprattutto studiosi tedeschi: il primo rettore fu infatti Johann Peter Kirsch, importantissimo storico della Chiesa antica, che negli stessi anni era anche direttore del Römisches Institut der Görres Gesellschaft e della prestigiosa rivista Römische Quartalschrisft (Heid, Reference Heid, Heid and Dennert2012).

Kirsch aveva una visione molto moderna dell'archeologia, e credeva che la formazione archeologica dovesse essere molto completa. In questo modo, inserì nel programma accademico del suo istituto anche delle materie che erano assolute novità. Tra queste materie, appunto, appare la museologia (Salvetti, Reference Salvetti, Cecalupo and Heid2023). Per comprendere il ruolo della museologia in questa moderna visione olistica della disciplina archeologica va sicuramente tenuto in conto il fatto che la sede del Römisches Institut der Görres Gesellschaft è da sempre il Campo Santo Teutonico in Vaticano, dove Kirsch – come tutti gli studiosi e prelati tedeschi del tempo – viveva e lavorava. Il Campo Santo Teutonico è, dal 1880, anche la sede di uno dei più antichi e longevi musei di antichità cristiane, che Kirsch evidentemente conosceva nella sua fase di primo Novecento e di cui comprendeva l'importanza per il panorama scientifico della città e per la formazione dei collegiali e degli studenti tedeschi (Heid, Reference Heid2016).

Sicuramente Volbach aveva conosciuto Kirsch sul Reno, a Burg Reichenstein, la dimora della famiglia Kirsch-Puricelli. Lì viveva il fratello del rettore Kirsch e lì passavano le loro vacanze molti professori del Pontificio Istituto, primo tra tutti il rettore, ma anche il suo amico Joseph Wilpert, il più importante storico dell'arte cristiana del tempo. Anche Volbach fu ospite più volte a Burg Reichenstein,Footnote 4 e conobbe Kirsch e Wilpert quando era uno studente di archeologia. Tra le lettere private di Wilpert, infatti, sono state rinvenute anche tre lettere di Volbach: si tratta di testi a tema iconografico e storico-artistico (Archivio Storico del Pontificio Istituto di archeologia Cristiana, X.2.9; X.2.16, ff. 193r–v e f. 199r). La prima è molto antica, del 1913, quando Volbach era ancora studente di archeologia a Tubinga e il Pontificio Istituto ancora non esisteva. Le altre due sono del 1928 e del 1929: in questi anni, Volbach lavorava a Berlino e già aveva rapporti scientifici con i membri del Pontificio Istituto.

Infatti, nella Rivista di Archeologia Cristiana del 1928 e del 1933 (la rivista ufficiale dell'Istituto) troviamo due notizie scritte proprio da Volbach. La prima notizia è Il museo copto del Cairo in Egitto, e proviene dalla Rivista di Archeologia Cristiana, anno V, fasc. 1 e 2 del 1928 (Volbach, Reference Volbach1928). Qui Volbach commenta il Museo Copto del Cairo con un testo strutturato in molto chiaro, nello stile di tutti gli articoli di critica museale di Volbach. Esso inizia dalla presentazione della storia del museo e si sviluppa in una descrizione del museo e delle sue singole sezioni. Tale descrizione è intervallata dai commenti di Volbach, che permettono di capire la sua visione come museologo, come si vedrà in seguito. La seconda notizia (Volbach, Reference Volbach1933a) è La nuova organizzazione delle collezioni Antica Cristiana, Bizantina e Italiana Medievale nel Museo ‘Kaiser Friedrich’ di Berlino, pubblicata nella Rivista di Archeologia Cristiana, anno X, del 1933, una versione abbreviata della descrizione che Volbach (Reference Volbach1933b) scrisse nello stesso anno per la rivista Berliner Museen. Si tratta di una brevissima relazione sul lavoro di riallestimento della collezione di arte paleocristiana e bizantina del Kaiser-Friedrich-Museum, da lui appena concluso in qualità di direttore della sezione.

Anche grazie a questi testi, Volbach vuole presentarsi al Pontificio Istituto come un referente per lo studio dei musei cristiani. Inoltre, sappiamo che Volbach, nel 1929, fece dono all'Istituto di una ricca collezione di riproduzioni a calchi e a fotografie di medaglie, pietre e sculture della prima età cristiana. Ecco cosa riporta l'annuario dell'istituto di quel periodo (Annuario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana 1929–30: 6): ‘Un altro prezioso dono è stato fatto all'Istituto dall'Ill.mp sig. dott. Fr. Volbach di Berlino il quale ha inviato una ricca collezione di riproduzioni a calchi e a fotografie di medaglie, pietre e sculture che rimontano alla prima età cristiana.’

Questo materiale è ancora presente nelle collezioni dell'Istituto. Inoltre, questi calchi sono il nucleo iniziale della collezione della Gipsoteca dell'Istituto, un tempo ospitata nella sala grande del pianterreno che oggi è una sala di ricevimento. La presenza di copie in gesso di opere d'arte paleocristiana in un istituto di alti studi archeologici è una costante degli istituti similari di XIX e XX secolo: possedere calchi e riproduzioni era – come ben noto – qualcosa molto comune in accademie e musei da almeno un secolo e mezzo per chiari motivi didattici e di comparazione. Il calco è da sempre usato come sussidio per rispondere alla necessità di poter visionare da vicino e in dettaglio almeno le opere di riferimento per la disciplina, che vengono raccolte in una singola collezione di copie ottime, per averle tutte assieme e evitare di viaggiare per osservare gli originali. In questo le università tedesche erano sempre state all'avanguardia (basti pensare al caso importantissimo della Gipsoteca di Monaco) e Volbach stesso era abituato all'uso del calco e della riproduzione, come si vedrà. Degli altri pezzi presenti nell'aula della Gipsoteca si conservano pochissime tracce oggi al Pontificio Istituto: un calco del sarcofago di Treviri, una lastra incisa, il calco della statua di Buon Pastore del Vaticano e un calco del mosaico di Ravenna con il ritratto di Massimiano. Ci sono pochissime notizie sulla gipsoteca anche nell'archivio storico dell'istituto: si conosce bene solo la storia del calco del sarcofago di Sant'Ambrogio a Milano, che fu donato a Joahnn Peter Kirsch per l'Istituto nel 1930 da un benefattore lombardo e che oggi si trova ai Musei Vaticani (Cecalupo, Reference Cecalupo2017).Footnote 5 Anche su tutta la collezione dell'istituto, che pure presenta pezzi di valore, le informazioni disponibili sono estremamente scarne.Footnote 6

La notizia più antica di calchi posseduti dal Pontificio Istituto è proprio quella della donazione di Volbach nel 1929. È quindi altamente probabile che sia stato Volbach, assieme a Kirsch, a organizzare la Gipsoteca. Ma la creazione della Gipsoteca non fu l'unico contributo importante di Volbach alla museologia cristiana romana. Egli assunse a Roma un ruolo importantissimo in ambito museologico, perché negli stessi anni in cui lavorava come assistente al Museo Sacro della Biblioteca Apostolica, occupò al Pontificio Istituto il primo insegnamento in assoluto di materie museali in Italia. Questa è una questione centrale: in paesi come gli Stati Uniti, la nascita degli insegnamenti di museologia si data ai primi decenni del XX secolo. La museologia era sempre connessa alla storia dell'arte ma a volte poteva toccare aspetti anche archeologici. Nei paesi d'oltreoceano furono innanzitutto i musei statunitensi a fornire formazione professionale a partire dai primissimi anni del Novecento, seguiti dall'American Association of Museums e da varie fondazioni (Simmons, Reference Simmons, Williams and Hawks2007; Schwarzer, Reference Schwarzer2017: 3, 216–18; Dragoni, Reference Dragoni2016). Troviamo poi un corso di museologia ad Harvard negli anni ’20. Fu infatti Paul Sachs ad Harvard nel 1922 tra i primi ad aprire un corso semestrale di ‘Museum Work and Museum Problems’ per contrastare la separazione tra curatore museale e professore universitario, come si faceva in Europa. Il corso prestava attenzione all'ampliamento dell'expertise del professionista museale attraverso lo studio degli oggetti singoli, e comprendeva anche esercitazioni di valutazione degli oggetti ed era basato sulla visione diretta dei musei. Il corso trattava di temi molto ampi come la filosofia del museo, la sua storia, l'organizzazione pratica e l'amministrazione; parlava anche di personalità importanti nel mondo dell'arte, di politica e di etica e, con i suoi limiti, contribuì alla formazione di molti professionisti museali (Kantor, Reference Kantor2010). Anche l'Universidad di Buenos Aires e quella di Rio de Janeiro istituirono corsi in museologia rispettivamente nel 1923 e 1938 (Lorente, Reference Lorente2012: 239).

I corsi universitari in museologia comparirono in Europa a partire dagli anni ’20, e se ne possiedono in generale poche informazioni. Dopo la pionieristica fondazione di una cattedra in museologia all'università di Brno nel 1922, l’École del Louvre stabilì il primo corso in museografia nel 1929 e l'università di Halle aprì il corso Museumkunde und Kunstgeschichte dal 1930–3 (Lorente, Reference Lorente2012: 239). Per i primi corsi di museologia nelle università italiane invece si devono aspettare gli anni ’60. Franco Minissi insegnò museografia per sette anni nella Scuola di Perfezionamento in Storia dell'Arte Medievale a Roma a partire dal 1964 (Vivio, Reference Vivio2016: 39), mentre il primo innovativo corso di museologia fu tenuto da Luisa Becherucci all'Università di Pisa (Beccherucci. Reference Becherucci1995), voluto da Carlo Ludovico Ragghianti e dal Ministero della Pubblica Istruzione nell'anno accademico 1967–8. Luisa Becherucci era allora Direttrice della Galleria degli Uffizi e dopo il 1969 continuò ad insegnare museologia nella privata Università Internazionale dell'Arte (Borsellino e Papi, Reference Borsellino and Papi2017: 21). Dopo di lei, furono soprattutto i celebri architetti-museografi degli anni ’70 ad occupare le più importanti cattedre di museografia. Nel 1973–4 Maria Vittoria Brugnoli tenne il primo corso curricolare di museografia presso l'Istituto di Storia dell'Arte della Sapienza di Roma, con particolare attenzione ai recuperi e ai restauri delle opere oltre che al collezionismo italiano e europeo (Borsellino e Papi, Reference Borsellino and Papi2017: 21–2). Di nuovo Minissi insegnò museografia nel corso ‘Architettura dei musei’ a Firenze e a Roma di nuovo dal 1970 un corso di restauro e di ‘Criteri di Museologia’ applicati agli edifici antichi (Vivio, Reference Vivio2016: 40). Si trattò quindi di un cambio importante: non più museologia, ma museografia, studio estetico e architettonico delle esposizioni delle collezioni. Qualcosa di lievemente diverso successe a Milano nel 1975–6: la Regione Lombardia, i Musei Civici di Milano e il Museo Poldi Pezzoli organizzarono un importante corso di museologia con 124 docenti scelti tra i principali esperti in studi museali di tutto il paese (Pinna, Reference Pinna2006: 76–7).

Solo negli ultimi trent'anni, poi, la museologia in università è diventata veramente una materia completa, in linea con il contesto internazionale. Quello che insegniamo oggi è storia del museo, legislazione, storia del restauro, comunicazione e educazione, i grandi temi dei musei contemporanei e molto altro.

Questo era esattamente lo stesso approccio di Volbach come professore al Pontificio Istituto. Volbach venne innanzitutto invitato da Kirsch a tenere alcune conferenze per l'anno accademico 1934–5. A luglio del 1934 Volbach scrisse infatti al segretario del Pontificio Istituto questa bella lettera (Archivio Storico del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, IX. 11. U–V):

Napoli, Vomero, 9.7.34 Villa Floridiana

Illustrissimo e reverendissimo Monsignore,

sono molto lieto di sentire per la lettera di Monsignore Kirsch, che posso tenere alcune conferenze nel suo bell'istituto. Sono certo che lavoreremo insieme in perfetta armonia. Avrei scelto per tema: ‘La museografia. Storia e tecnica dei Musei’. Così potrò anche parlare dei restauri degli oggetti d'arte conservate nei musei. Ma sarà bene riservare il tema: ‘Restauro dei monumenti sacri’ per un secondo corso. Come Musei da visitare propongo: Vaticano – Laterano – Palazzo Venezia – Borghese – Corsini (stampe e disegni) Museo delle Terme etc. Ma quanto al programma, mi rimetto completamente a Lei.

Con distinti saluti e perfetta stima

il suo devotissimo

Fritz Volbach.

Volbach quindi propose un tema di museografia, lasciando ad intendere che negli anni successivi avrebbe introdotto i temi di restauro. Sul dettaglio del programma si fece aiutare dalla direzione del Pontificio Istituto ma propose alcune visite a collezioni sia di archeologia che di storia dell'arte. L'attenzione di Volbach ai temi del restauro fu sempre grandissima, perché era davvero interessato anche agli aspetti tecnici e materiali, e su questi temi il suo aggiornamento era continuo. Ad esempio, nell'ottobre 1930 partecipò a Roma alla Conferenza Internazionale per lo Studio dei Metodi Scientifici Applicati alla Conservazione delle Opere d'Arte, che fu uno dei momenti più importanti per lo sviluppo dei mezzi tecnologici (come microfotografia e raggi) nell'analisi degli oggetti in museo (Mietke, Reference Mietke, Ehler, Fluck and Mietke2017: 12–13; Clavir, Reference Clavir1998).

Possiamo sapere nel dettaglio il programma scelto per le lezioni di Volbach attraverso i programmi delle lezioni dell'istituto, che permettono di capire come cambia il corso di Volbach nel tempo. L'Annuario del 1934–5 (Annuario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana 1934–5: 5) ci comunica che:

Il Dott. Federico Volbach conservatore nel Museo cristiano della Biblioteca Vaticana, è stato incaricato per l'anno scolastico 1934–35, di tenere un corso speciale di Museografia, con visite nei Musei Vaticani, al fine di impartire un insegnamento pratico circa la conservazione e la disposizione, secondo le varie classi, dei monumenti, oggetti e cimeli riuniti o da riunirsi nei Musei. L'organizzazione dei Musei diocesani ha assunto un'importanza fondamentale per l'assicurazione e conservazione dei monumenti, oggetti e cimeli, propri di tutta la Cristianità antica e medievale e per promuovere gli studi scientifici dell'arte sacra e ecclesiastica. Il nuovo corso abiliterà gli alunni dell'Istituto all'amministrazione e conservazione metodica di tali collezioni archeologiche ed artistiche.

Per l'anno accademico 1934–5 il corso appare come corso aggiunto denominato ‘Lezioni di Museografia’, destinato agli alunni del secondo anno di dottorato, e svolto il giovedì alle 10.30 nel periodo invernale. Si nota un interesse dell'istituto – e contestualmente di Volbach – al museo come luogo olistico di conservazione ma anche di promozione scientifica e di formazione accademica.

Quello che Volbach aveva previsto nella lettera del luglio 1934 accadde nell'anno accademico 1935–6. Il corso diventò ‘Lezioni di Museografia. Restauro e conservazione dei monumenti con visite ai Musei di Roma’ (Annuario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana 1935–6: 16). Nell'anno accademico 1937–8, il corso cambiò, diventando un corso ufficiale per il secondo anno, chiamato ‘Museologia’. Come richiede il cambio di denominazione, il programma diventa molto più dettagliato: ‘Conservazione e restauro dei monumenti: Giurisdizione della chiesa e dei governi moderni – Pratica nella storia della Chiesa – Tecnica moderna del restauro dei monumenti e loro conservazione nei musei. – Visite per Roma ai gabinetti di restauro ed esame dei monumenti restaurati, visite ai monumenti durante il periodo di restauro (Cappella Sistina e altri)’ (Annuario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana 1937–8: 19). I punti principali sono la presenza dei temi storici e contemporanei di conservazione e restauro, una importanza particolare data alle questioni di legislazione e gestione nazionali, un focus sulla storia dei musei della Chiesa. Non mancavano le visite, che però si concentravano ai monumenti in restauro, secondo una concezione dell'intervento diretto sui resti come momento privilegiato per la loro conoscenza approfondita.

Il corso non cambiò più fino all'anno accademico 1939–40, l'ultimo in cui Volbach insegnò al Pontificio Istituto con un programma ridotto (‘Restauro e conservazione dei monumenti. Problemi moderni della conservazione dei monumenti di architettura, pittura e scultura. – Legislazione. – Con visite ai monumenti e musei’). Da una sua breve lettera del 7 agosto 1941 sembra che egli attenda di insegnare anche per il corso del successivo anno accademico, cosa che non avvenne.Footnote 7 Gli anni della guerra furono in effetti per l'istituto molto duri, videro una contrazione dell'offerta didattica e la morte di Johann Peter Kirsch nel 1942 impoverì molto l'istituto nei progetti e nell'innovazione.

Nella sua famosa breve biografia pubblicata in Wissenschaft und Turbolenz nel 1972, Volbach non parla molto del suo periodo al Pontificio Istituto. Egli ricorda però di aver insegnato lì Museumkunde und Restaurierung (Volbach, Reference Volbach and Krach1972: 31). Due temi specifici, quindi: temi generali del museo e restauro, come appare anche dai programmi accademici appena visti.

Dai suoi lavori e in particolare dai suoi numerosi articoli di critica museale a collezioni e mostre, si possono capire ancora meglio le idee di Volbach sulla museologia. Come è chiaro anche dai programmi, per lui la museologia era una disciplina completa, sia teorica che pratica.

Dal punto di vista tecnico, i commenti nei suoi articoli ci permettono di capire la sua visione come museologo. Analizzare linguaggio e riflessioni presenti nelle recensioni delle mostre per capire il pensiero critico sui temi museologici di un determinato personaggio è una pratica già dimostratasi utile in passato in casi come quelli di Cesare Brandi (De Santis e Marotta, Reference De Santis and Marotta2011), e offre certamente un punto di vista diretto sulle sensibilità di questi importanti museologi. Sono moltissimi gli articoli di critica museale che Volbach pubblica nella sua vita, quelli che vengono presi in considerazione in questa sede sono quelli del suo periodo di attività museale, vale a dire tra la metà degli anni ’20 e la fine degli anni ’50.

Si trattava di una tipologia di testo critico congeniale a Volbach, che lo ha utilizzato a partire dai primissimi anni della sua carriera, pur lasciandolo a latere degli studi sulle collezioni che pubblicò a lungo nel corso della sua vita e che contengono sempre molti dettagli storico-artistici sui pezzi e pochi sull'allestimento.Footnote 8 I testi sono sempre strutturati in modo molto chiaro, iniziando dalla presentazione breve della storia del museo e sviluppandosi in descrizioni concise ma complete dei musei/delle mostre e delle loro singole sezioni. Tali descrizioni sono intervallata dai commenti di Volbach, che permettono di capire la sua visione come museologo. Al di là di particolari riflessioni specifiche che si incontrano caso per caso, gli presta speciale attenzione agli aspetti allestitivi e pratici come primo mezzo per la comunicazione della collezione. Volbach apprezza sempre la disposizione degli oggetti in base allo sviluppo culturale della società a cui si riferiscono, preferendo una sistemazione con metodo archeologico a quelle meramente estetiche, ancora molto in voga nei grandi musei d'Europa specie nelle esposizioni delle arti africane e asiatiche. Per Volbach, un museo deve effettivamente servire a illustrare uno sviluppo artistico-culturale ed essere di utilità tanto per i visitatori quanto per gli studiosi. Questi concetti sono espressi chiaramente nelle due notizie già citate, pubblicate nella Rivista di Archeologia Cristiana,Footnote 9 ma non solo in queste. Commenti utili al fine di questa ricostruzione sono molteplici: se ne rintracciano molti sull'importanza scientifica delle mostre per la comprensione di alcuni temi specifici e meno noti al pubblico generale,Footnote 10 o per lo studio approfondito dei pezzi tramite analisi chimiche e continui confronti fra studiosi (Volbach, Reference Volbach1942).

Quelli che ci interessano di più sono ovviamente i commenti relativi alle finalità ‘pubbliche’ dei nuovi allestimenti, e se ne trovano in particolare negli scritti relativi alle sale e alle sezioni da lui curate. Volbach prestava particolare attenzione agli aspetti allestitivi e pratici come primo mezzo per comunicare la collezione al pubblico, e credeva che la disposizione degli oggetti dovesse sempre servire a spiegare le culture umane e apprezzava, infatti, le sistemazioni con metodo archeologico e non meramente estetico, tipiche invece nella maggior parte de musei d'Europa. Per Volbach, un museo doveva servire a illustrare lo sviluppo della cultura e dell'arte ed essere di utilità tanto per i visitatori quanto per gli studiosi, specie in mancanza di studi monografici sulle tipologie di oggetti esposte. L'importanza della disposizione degli oggetti era per lui un tema chiave in museo: ogni volta che commentava una esposizione da lui strutturata, Volbach sottolineava la sua scelta di disporre i reperti in modo sistematico, ordinati in gruppi (coerenti per cronologia e provenienza geografica) e esposti in modo chiaro e distanziato così da dare la giusta importanza ai singoli oggetti, come ad esempio al Kaiser-Friedrich-Museum (Fig. 1). Un esempio è infatti proprio la lunga relazione pubblicata nel 1933 sul rifacimento delle sale paleocristiane e bizantine del museo berlinese (Volbach, Reference Volbach1933b): Volbach afferma di aver lavorato per offrire al visitatore un quadro cronologico coerente durante il percorso della sezione, e ai ricercatori una condizione di studio facilmente accessibile, anche in deposito. Gli spostamenti di reperti e vetrine tra le sale erano stati eseguiti per disporli, per quanto possibile, in ordine cronologico, e per alleggerire il più possibile le antiche sale cristiane, la cui impressione era fortemente influenzata dai grandi pezzi di architettura. Le piccole opere d'arte applicata sarebbero state effettivamente sopraffatte dai grandi marmi. Furono modificati i colori delle pareti per aumentare l'illuminazione, specie nelle giornate nuvolose, o per far risaltare bene i rilievi in marmo. Il fulcro della grande sala era il mosaico di San Michele in Africisco da Ravenna, i grandi sarcofagi precedentemente collocati al centro della sala vennero spostati alle pareti e lo spazio centrale della sala fu mantenuto libero per migliorare il punto di vista dello spettatore, affinché egli avesse una visione del mosaico dell'abside come in una basilica paleocristiana.

Fig. 1. L'allestimento di una delle sale bizantine del Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino nel 1933 dopo il riordinamento di Volbach (Leibniz-Zentrum für Archäologie, Archiv).

Idea di spazio era quindi, per Volbach, l'importante protagonista del museo, servendo tantissimo ad una migliore visione. Lo si vede nelle immagini degli allestimenti del Kaiser-Friedrich-Museum e del Römisch-Germanisches Zentralmuseum nel periodo in cui ne era direttore (Fig. 2). Nelle coeve fotografie di quest'ultimo museo, si percepisce una grande differenza con le sale piene di oggetti dell'esposizione precedente. Nella pratica di Volbach arrivò la lezione dei musei americani del ‘diradamento’, che lui applicò con intenti didattici. Dalle poche fotografie del 1955, le sale del museo appaiono molto simili a quelle allestite da Volbach a Berlino: liberata la parte centrale da vetrine e armadi con gli oggetti affastellati, i reperti in pietra e calchi vennero spostati alle pareti, creando uno spazio di movimento più ampio e arioso, con la complicità di pareti bianche e spazi consistenti tra le opere.

Fig. 2. Veduta di alcune sale del Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza nel periodo in cui Volbach ne era direttore (Leibniz-Zentrum für Archäologie, Archiv).

Dal punto di vista delle pratiche museali, è molto interessante anche la Relazione sulle novità dell'allestimento del Museo Sacro della Biblioteca Apostolica, che Volbach scrisse il 5 marzo 1941 (riportata interamente in Appendice).Footnote 11 Dal 1934 Volbach aveva collaborato all'ordinamento delle vetrine e alle schede di catalogo, mentre dal 1936 assistette ai restauri per il nuovo riordinamento, in un museo totalmente cambiato rispetto a quello fondato a metà Settecento da Benedetto XIV, a seguito delle numerose donazioni e ampliamenti progettati specialmente sotto Pio X e Pio XI (Pietrangeli, Reference Pietrangeli1985: 184, 196). Nella sua relazione, Volbach dice che l'obiettivo del riordinamento è quello di dare una idea completa dello sviluppo dell'arte sacra. Nel corso della relazione, egli offre dettagli importanti sulle nuove acquisizioni (tra cui la data di ingresso, i donatori, la provenienza dell'oggetto) e molte informazioni sulla politica di Pio XI per la collezione, fornendo una panoramica importante per la storia di questo museo. Spiega inoltre la scelta di includere anche oggetti del Rinascimento e del Barocco, così da permettere ai visitatori e agli studiosi di poter vedere tutto lo sviluppo dell'arte cristiana fino al tempo contemporaneo. Inoltre, descrive le sale occupate dall'allestimento, il modo in cui sono state rimesse a nuovo ‘per disporre meglio il materiale e i singoli gruppi secondo le diverse epoche’, e quindi molto più chiaramente.

Le informazioni che egli fornisce sulle vetrine scelte o modificate per il museo fanno intendere ancora più chiaramente questa vocazione estrema alla chiarezza e alla visibilità del pezzo, ricercata senza sosta tentando di avere il minor impatto possibile sull'architettura storica delle sale settecentesche. Negli anni 1934–6, nella sala storica del 1757 che conteneva i reperti delle catacombe, si modificò solo l'aspetto interno degli armadi originari (senza toccare l'esterno settecentesco) sostituendo le mensole lignee con lastre di vetro. L'obiettivo era dare leggerezza e luminosità alle vetrine, mentre il fondo fu rivestito di tela grigia per far campeggiare meglio gli oggetti, quasi tutti policromi. Questa sensibilità che vedeva una dicotomia armoniosa tra mantenimento dell'aspetto originale delle prestigiose sale storiche e migliorie allestitive coinvolgeva anche altre sale: alcune vennero dipinte di bianco; le vetrine da inserire in ambienti con mobilio storicamente molto caratterizzato si scelsero semplicissime per il minor impatto visivo possibile; gli avori e gli smalti si allestirono sempre su fondi di velluto bruno per farne campeggiare i toni; si intervenne nell'interno degli armadi per guadagnare spazio per l'esposizione degli oggetti, ma senza alterare l'aspetto del mobilio antico.

Va notato come nella relazione Volbach dedichi un paragrafo ai libri e ai cataloghi pubblicati nel periodo del rinnovamento, focalizzandosi anche sui testi di divulgazione, vale a dire la serie delle piccole Guide, rivelando ancora una spiccata sensibilità per la comunicazione del sapere fuori dai circoli ordinari. Fu egli stesso a scrivere la guida del Museo Sacro nel 1938, pubblicata poi in edizione inglese nel 1944 (Volbach, Reference Volbach1938; Reference Volbach1944): entrambe presentano il museo stanza per stanza, commentando le opere esposte; iniziano con una premessa sulla storia del museo e chiariscono entrambe (Volbach, Reference Volbach1938: 5; Reference Volbach1944: 3) che a seguito dell'aumento di opere e del riordinamento del circuito voluto da Pio XI, si procedette ad una disposizione dal punto di vista scientifico, in modo che il visitatore possa avere un'idea dello sviluppo delle arti minori cristiane.

Un ultimo punto utile alla nostra ricostruzione presente all'interno di questa relazione è la tendenza di Volbach a portare a Roma le sue esperienze passate, cosa che si traduce anche in una certa spinta alle collaborazioni internazionali di alto livello. Colpisce la stretta cooperazione con una ditta londinese per la creazione di vetrine adatte alle esigenze del museo. Allo stesso modo, è da sottolineare la particolare attenzione data alle questioni conservative dei vetri a fondo oro deteriorati, per la cui salvaguardia in museo Volbach applica un tipo di vetrina ermetica senza aria che ne permetta la conservazione sotto alcol, che lui ha conosciuto nel periodo berlinese e che ha perfezionato assieme alla ditta di Londra sotto la sorveglianza del direttore generale del Victoria and Albert Museum, al tempo vera avanguardia dei musei di arti applicate. Alle questioni apprese al Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino, tempio dello storicismo applicato al museo e dello Stilraum, collegherei anche l'idea di riordinare la cappella di San Pio V collocandovi un altare in stile barocco proprio ‘per ridare il carattere alla graziosa cappella’.Footnote 12 Allo stesso tempo, la scelta di esporre tutte le stoffe fra due vetri chiusi ermeticamente, viene spiegata come una tecnica adottata in tutti i grandi musei di Londra, Berlino e Parigi, affinché siano più maneggiabili dagli studiosi (a fini di studio) e non vi entri la polvere (a fini conservativi). Le preoccupazioni conservative sono comunque il filo rosso che unisce tutto il riordinamento: si faceva attenzione alla luce delle finestre (che dessero scarsa luce o potessero essere chiuse ‘quasi ermeticamente’Footnote 13) o all'illuminazione indiretta; si crearono vetrine dotate di uno spazio di deposito nella parte bassa per i frammenti più fragili.

L'impatto avuto dalle sue esperienze passate sul suo lavoro di museologo si nota anche guardando al ruolo di calchi e riproduzioni come elemento formativo per un museologo interessato alla percezione del pubblico e alla narrazione completa di una storia. I due luoghi più importanti per questo tema della vita di Volbach furono sicuramente il Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz e il Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino.

Il Römisch-Germanisches Zentralmuseum fu fondato nel 1852 e, come ricorda un catalogo del 1934 (Römisch-Germanisches Zentralmuseum, 1934), aveva il compito di unificare il sapere sulle rappresentazioni artistiche e le culture dalla preistoria a Carlo Magno. Questo doveva servire non solo agli studiosi, ma anche per l'istituzione popolare. Bisognava quindi creare un percorso artistico e culturale completo, per cui servivano anche un numero enorme di repliche, che negli anni ’30 erano oltre 32,000, mentre gli originali 26,000. Questi numeri crebbero nel corso degli anni, subendo anche grosse perdite, in particolare durante le guerre. Quando Volbach diventò direttore del museo, dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, esso contava oltre 32,400 originali e 36,500 calchi e copie (Volbach, Reference Volbach1953). Tutte queste riproduzioni erano certamente un aiuto unico alla spiegazione in museo dell'evoluzione della civiltà negli stati tedeschi. Guardando anche al catalogo del museo n. 3 del 1911, compilato dal maestro di Volbach (Schumacher, Reference Schumacher1911), si nota come per compilarlo vennero usate sia le fotografie che i calchi in gesso. Questi oggetti non furono catalogati separatamente, ma tutti insieme e segnalati con G (calco in gesso), O (originali), PH (foto), dando così una dignità scientifica al calco e a modelli espositivi con oggetti ricostruiti per richiamare al visitatore il loro uso pratico.

Moltissimi cataloghi del Römisch-Germanisches Zentralmuseum dell'inizio del Novecento aiutano molto a capire il clima in cui Volbach si è formato. In particolare, il catalogo del 1934 elenca i materiali conservati in base alle loro tipologie e mostra con dovizia di fotografie l'allestimento dei calchi e dei modelli all'interno del museo. Si vede una commistione di originali in vetrina, calchi alle pareti, tavoloni con ricostruzioni di insediamenti antichi (con ricostruzioni di capanne e piccole costruzioni) e piedistalli di varie misure che sorreggono manichini vestiti da guerrieri e soldati antichi con scopi didattici (Römisch-Germanisches Zentralmuseum, 1934) (Fig. 3).

Fig. 3. Una sala del Römisch-Germanisches Zentralmuseum nel 1934 (da Römisch-Germanisches Zentralmuseum 1934).

Questa importanza scientifica data alle riproduzioni e appresa da Schumacher si vede benissimo nella prima edizione del catalogo degli avori pubblicato da Volbach del 1916. Nella prefazione, infatti, Volbach scrive chiaramente che a causa della guerra è stato impossibile lo studio all'estero e il procurarsi tutti i calchi necessari per studiare i pezzi e creare una collezione completa: invece dei calchi egli dovette usare fotografie. Volbach continuò a usare i calchi a uso di studio anche nei lavori scientifici dopo la sua pensione. Lo prova una lettera del luglio 1959 conservata nelle sue carte private a Magonza, in cui direttore del museo civico di Torino gli comunica di aver fatto eseguire il calco del piatto di Giustiniano della Galleria Sabauda che gli aveva richiesto Volbach (Archivio del Leibniz-Zentrum für Archäologie Mainz, FV 014).

A Berlino, invece, si trovò all'interno di un contesto importantissimo, dove le riproduzioni e gli allestimenti ‘in stile’ furono di enorme importanza. Il Kaiser-Friedrich-Museum diretto da Wilhelm von Boden aprì nel 1870 con diverse sezioni in cui tutti gli oggetti erano esposti insieme negli stessi ambienti, secondo l'idea dello Stilraum, che permetteva ai visitatori di immergersi in sale strutturate secondo diverse cronologie estetiche e di ottenere una prospettiva storico-artistica completa attraverso la successione delle stanze. Si trattava di ricostruzioni che miravano a valorizzare gruppi di materiali dello stesso periodo per ricreare una percezione globale del contesto di provenienza degli oggetti presenti nel museo. Era necessario consentire all'interno di una singola sala del museo una sensazione esperienziale degli oggetti reinseriti nel loro ambiente originario. Una delle opere principali del museo era ed è, come detto, il mosaico absidale di San Michele in Africisco da Ravenna, esposto nella sala della scultura cristiana. Il mosaico proveniva da una chiesa di Ravenna talmente danneggiata da essere venduta a Federico Guglielmo IV di Prussia nel 1842. Si pensò subito di ricostruirlo nel Kaiser-Friedrich-Museum all'interno di un'abside appositamente creata per l'esposizione del mosaico. L'attenzione per l'esposizione museale fu molto ampia: il mosaico nell'abside era il punto focale di una sala per ricreare una basilica paleocristiana nella sala del museo (Lindemann, Reference Lindemann2010; Cecalupo, Reference Cecalupo2022). La prospettiva della ricostruzione dell'ambiente è stata favorita dalla disposizione di altri pezzi paleocristiani e bizantini (di altre cronologie e provenienze) nella stessa sala, richiamando le posizioni del loro uso originario. Il museo è stato realizzato nel periodo dello storicismo e quindi vicino ai concetti di Stilraum: un altro esempio nel museo è la ‘basilica’, una delle sale al piano terra in cui sono stati allestiti dipinti moderni italiani in uno spazio costruito come una chiesa cattolica, una grande sala a volta longitudinale con cappelle laterali, gradini e sostegni che ricordano gli altari, su cui sono collocati i dipinti.

Questo era il contesto in cui Volbach lavorò per vari anni. Inoltre, è importante ricordare che von Bode chiedeva ai suoi collaboratori di dare grande importanza al lavoro pratico, accanto al quale c'era anche il lavoro scientifico dei cataloghi. Bisognava avere grande conoscenza pratica degli oggetti anche a livello di prezzo: ma conoscerli praticamente significa andare oltre la sola valenza estetica e contemplativa.

Questi momenti formativi si trasformano quindi nella sua visione di museo. Il museo deve raccontare in modo chiaro e completo la storia della civiltà. Non deve essere una celebrazione estetica ma uno spazio chiaro e luminoso che serve a capire e a vedere. In questo sta, effettivamente, il cuore della visione innovativa della carriera di Volbach. Non ci sono circoli ristretti, il museo è un luogo olistico di conservazione, studio e diffusione della conoscenza, la museologia è una materia al servizio di tutti e utile a qualsiasi disciplina. Certamente ancora lontano dall'idea di accessibilità entrata di diritto esplicito nella definizione di museo ICOM dal 2022,Footnote 14 il lavoro di Volbach si è distinto proprio per la sua impronta aperta: primo docente di museologia in un corso esclusivamente per archeologi, organizzatore di progetti e allestimenti che avessero alla base il concetto di chiarezza e didattica espositiva, forte promotore di una commistione imprescindibile e moderna tra allestimento, didattica e conservazione.

APPENDICE

Archivio del Leibniz-Zentrum für Archäologie Mainz, FV 023/036

[f. 1]

Riordinamento del Museo Sacro negli anni 1936–40

Gli anni 1934–6 furono spesi soprattutto nel riordinare il materiale esistente nel Museo Sacro, disponendo meglio le collezioni nelle vecchie vetrine della prima sala, ordinando le schede, le fotografie, l'inventario, e restaurando gli oggetti fatiscenti. Col 1936 comincia invece un periodo di nuovi acquisti e di un completo riordinamento.

Per volontà del S. Padre Pio XI di felice memoria espresso nella sua lettera del… … la direzione del museo dovette ritirare dalle catacombe i cimeli, per tanti anni non più portati al Museo Sacro, secondo il desiderio del padre Marchi e la disposizione del Cav. de Rossi, e arricchire molte raccolte dell'alto Medioevo e del Rinascimento con vasi sacri per dare una idea più adeguata dello sviluppo dell'arte sacra. Per ciò che riguarda le catacombe si mette mano a inventariare gli oggetti trovati a S. Sebastiano (19.XI.1936, 13.XII.1936 e 6.III.1937). Rimangono nel museo sacro i vetri, le lampade e altri cimeli di grande valore, il resto, dopo restaurato e inventariato, viene riservato al museo di S. Sebastiano. Il 6. XII.1937 e 14.III.1938 si comincia con l'inventario degli oggetti trovati a S. Domitilla. Un contributo monto importante [f. 2] viene da S. Callisto, donde si ritirano il 16.V.1938 pezzi 1118, S. Marco e Marcellino, da S. Callisto e da S. Cornelio. Tra questi oggetti fu fatta anche una scelta per il museo sacro grazie alla quale fu completata la serie delle lampade dal sec. I al V e arricchita specialmente la collezione dei vetri. Il resto degli oggetti fu restaurato, ma non è ancora stato riportato per le difficoltà attuali.

Ai pezzi trovati nelle catacombe di Roma dobbiamo aggiungere i doni fatti al museo di vari oggetti di età paleocristiana, come per esempio una lampada di Pulmina, offerta da S. Em. il cardinale Tisserant (15.9.39), una ampolla proveniente da S. Clemente di Casauria, regalata dal rev.mo P. Casamassa (7.XI.1938), una iscrizione cristiana (20.VIII.1940).

Per il medioevo fu fatto un buon acquisto cogli oggetti rinvenuti il 18.10.1936 nel sepolcrino dell'antico altare della chiesa demolita di San Sulla; due reliquiari del sec. XI in oro e argento niellato e una serie di vetri della stessa epoca, pubblicati a parte nel Bullettino d'Arte del Ministero 1937.

Fra i doni di persone private per il reparto medievale si trova un bel trittico di osso della scuola degli Embriachi con la Madonna e santi (20.9.1939).

Per l'età del Rinascimento e del Barocco fu possibile raccogliere in notevole quantità vasi sacri e paramenti, cominciando in questa maniera a completare la collezione in guisa da permettere ai visitatori e agli studiosi di vedere chiaro lo sviluppo dell'arte Cristiana fin al tempo nostro.

Una ricca suppellettili dal Rinascimento all'ottocento fornì al Museo il tesoro della Cappella [f. 3] Sistina: calici, patene, ampolle, piatti, ostensori, pissidi, una rosa d'oro e altri oggetti per il culto alcuni di grande importanza artistica come un calice di cristallo di rocca ornato di smalti.

Per valore artistico il più importante acquisto fu un gruppo di ca 50 reliquiari provenienti dal tesoro di S. Cecilia, regalati a quella chiesa dal cardinale Sfondrato verso la fine del sec. XVI. Quasi tutti i vasi in argento dorato sono firmati dai migliori orefici del sec. XVI di Augsburgo, di Norimberga e Parigi, come per esempio Pietro Floetner. Sono inventariati, ma non ancora esposti (vetrina della cappella S. Pio V).

Molto interessante è anche il mobilio completo di una chiesa benedettina dell'Italia meridionale donato da S.S. Pio XI il 1.2 1937. Come principio di una collezione di placchette del Rinascimento hanno importanza 21 pezzi, già consegnati da S.S. al Marchi nel medagliere Serafini esposti ora con la scultura del rinascimento negli appartamenti Borgia.

La collezione di ceramica italiana di Urbino, Venezia, Castelli e altre fabbriche, che decorava l'appartamento Borgia al tempo del Cardinale Mury del Wael, fu trasferita al museo, insieme con alcuni pezzi interessanti della fine del sec. XIV e principio sec. XV trovati in piazza S. Pietro presso al obelisco [sic] (23.1.1937). Come complesso [f. 4] è specialmente notevole la farmacia del convento di S. Cecilia, quasi tutti albarelli, probabilmente di Roma, l'ultima collezione col vecchio mobilio messo a posto provvisoriamente nelle camerette Borgia (non ancora inventariato).

Anche la collezione delle stoffe poté essere aumentata fra 1936 e 1940, tanto da poter dare una idea dello sviluppo dei paramenti sacri e dell'Arte del tessile; così che oggi la collezione delle stoffe medievali aumentata con le reliquie del Sancta Sanctorum, le stoffe copte donate dai P.P. Francescani, con i resti della tomba di S. Amico di Rambona con alcuni frammenti provenienti da S. Cecilia assai completa per seguire la storia dell'Arte del tessile al sec. XIV. Per il Rinascimento poté essere aggiunta una serie di preziosi paramenti papali della Cappella Sistina, cioè dei papi Urbano VIII, Alessandro VII, Clemente VIII, Clemente IX. Particolarmente notevoli i preziosi paramenti della fabbrica di Firenze, lavorati con i disegni di Alari e dedicati a Clemente VIII verso il 1590. Per il Settecento hanno grande importanza per la storia del vestiario gli abiti del papa Clemente IX, provenienti dalla casa Rospigliosi. Un altro gruppo di paramenti dell'abbazia di Grottaferrata non è ancora esposto per mancanza di spazio.

Grazie al vivo interessamento del S. Padre Pio XI il museo inaugurò anche una sezione per l'oriente cristiano dopo lo scisma, sperando di poter dare col tempo una idea dello sviluppo dei diversi riti. La generosità del Professor Silvio S. Mercati ci permise di comprare una [f. 5] bella iconostasi proveniente da Cefalonia, e altro mobilio ecclesiastico del sec. XVIII. Per la storia della pittura alcune icone riportate dal deposito della pinacoteca Vaticana formano il principio di codesta collezione. Dalla eredità di S.S Pio XI vennero al museo oggetti sacri dell'Abissinia, amori, rosari, bastoni etc. Questi oggetti subito dopo entrati furono inventati e schedati per il catalogo. Dei cataloghi fu pubblicato nel 1936 Morey, ‘Gli Oggetti di avorio e osso’, nel 1939 Stohlman, ‘Gli smalti’. Il volume di Volbach, ‘Stoffe’, è pronto per la stampa, i rimanenti sono quasi finiti per cura dell'università di Princeton. Alla divulgazione serve la serie delle piccole ‘Guide’; tre hanno già veduto la luce: ‘Il medioevo bizantino’, ‘la croce’ e ‘la guida generale’. Altre come ‘Stoffe nel medioevo’ e ‘Sancta Sanctorum’ sono preparate.

Per meglio disporre il materiale e i singoli gruppi secondo le diverse epoche, il museo occupava (oltre la prima sala inaugurata nel 1756 sotto Benedetto XIV) la sala degli indirizzi, la cappella di S. Pio V, la sala degli indirizzi di Leone XIII e le due sale del medagliere. La collezione delle armi e delle carrozze fu collocata nella torre Borgia; la scultura del Rinascimento disposta nella sala dell'appartamento Borgia, come la collezione delle placchette, alcuni pezzi della scuola di della Robbia e i bozzetti di Bernini.

[f. 6] Già negli anni 1934–6, essendo in corso i lavori di sistemazione della collezione paleocristiana della prima – vecchia – sala, si mutò l'interno degli armadi sostituendo ai palchetti di legno originali delle lastre di vetro per dare maggior leggerezza e luminosità alle vetrine. Il fondo degli armadi fu rivestito di tela grigia per far campeggiare meglio gli oggetti. Non si cambiò la forma delle vetrine e non si tolsero gli sportelli per non distruggere l'aspetto settecentesco. Si fissarono soltanto gli sportelli con grappe in bronzo. La parte più preziosa del Museo Sacro – il tesoro della cappella Sancta Sanctorum – fu disposto in due grandi vetrine di acciaio cromato nella sala dei papiri (più tardi nell'ultima sala del medagliere). Per l'acquisto di queste vetrine si domandarono preventivi a diverse ditte specializzate, dando infine l'incarico di costruirle su disegni nostri alla ditta Sage… di Londra (vedi Protocollo n. …), che per il prezzo, la bontà del materiale e per l'esattezza del lavoro dava la più grande sicurezza. E anche dopo la collocazione S.S. Pio XI esprimeva il suo augusto piacimento. La perfetta riuscita del lavoro è dimostrata dal fatto che la direzione generale dei musei più [f. 7] tipici scelse questo tipo di vetrine, per la collezione Guglielmi e la direzione generale delle Belle Arti d'Italia per il nuovo museo di Ferrara. Tali vetrine chiudono in modo da impedire totalmente l'entrata della polvere e ridurre al minimo i cambiamenti di aria, ciò fu necessario per la conservazione degli oggetti di avorio e di legno.

Prima di esporre le stoffe, provenienti dal tesoro del Sancta Sanctorum, fu necessario restaurare i frammenti ancora chiusi nei reliquiari o conservati a parte, lavoro curato dal restauratore Vittorio Adampese, e dopo dal Signore … Grazioli, sotto la sorveglianza di Monsignore Le Grelle. Tutte le stoffe vennero poste fra due vetri e chiuse ermeticamente, secondo il metodo ora adottato in tutti i grandi musei del mondo, Londra, Berlino e Parigi. Questo metodo offre il vantaggio, oltre che non entra la polvere, che le stoffe fragili sono più maneggiabili per gli studiosi. Questi quadri – incorniciati in legno semplice – furono appesi nell'ultima sala del medagliere, a lunghi ferri, perché S.S. Pio XI non volle chiodi nel muro. Questa sala si presta mirabilmente all'esposizione delle stoffe, avendo lunghe pareti e finestre che possono esser chiuse quasi ermeticamente dopo la chiusura del museo. Le stoffe antiche se sono molto esposte alla luce del giorno perdono il colore.

[f. 8] Mentre le due sale del medagliere venivano fornite di nuovo pavimento, di tele alle pareti e di soffitto bianco, le due vetrine del Sancta Sanctorum furono collocate provvisoriamente nella sala dei Papiri.

Il lavoro di riordinamento proseguì nella sala degli indirizzi di Pio IX, seguente alla sala dei papiri. Furono disposti entro due lunghe vetrine, collocate sopra le tavole nel mezzo della sala, gli smalti più preziosi del Medioevo. Perché non stonassero col vecchio mobilio stile impero, le vetrine si vollero semplicissime: un lungo vetro orizzontale sopra quattro vetri verticali, legati insieme con cerniere di bronzo; nelle cerniere una vite per assicurare il grande cristallo orizzontale (vedi Fotografia …). Come fondo si scelse un velluto bruno che dà un tono neutro agli avori, agli smalti e a quasi tutti gli oggetti d'Arte. Le vetrine furono eseguite su nostro disegno nella scuola di Arte industriale di Roma. Anche per gli avori del Medioevo approntammo semplici vetrine dello stesso tipo di cristallo. Esse furono eseguite nella officina del Vaticano e collocate sopra tavole fra le finestre della Sala degli indirizzi. Gli [f. 9] avori furono divisi fra quelli dell'alto medioevo, Gotico francese e Gotico italiano.

S.S. Pio XI diede ora anche il permesso di togliere gli indirizzi dagli armadi e di usare questi ultimi per l'esposizione dei vasi sacri. Così la prima sala fu riservata esclusivamente agli oggetti dell'età paleocristiana provenienti in massima parte dagli scavi delle catacombe. Tale provvedimento apparve necessario, poiché Pio XI volle fossero inviati al Museo Sacro tutti gli oggetti che si rinvengono negli antichi cimiteri, ripristinando un uso che era stato smesso dopo la morte di de Rossi. Per adattare gli armadi al museo convenne togliere gli sportelli, per guadagnare spazio per l'esposizione degli oggetti, ma senza troppo alterare l'aspetto del bel mobilio di stile impero. Il comm. Ravasco di Milano, che si trovava allora in Roma occupato nel restauro del Tesoro di S. Cecilia, propose a S.S. Pio XI per il lavoro la ditta … di Saronno la quale, dopo aver fatto una prova, ricevette l'incarico di adattare gli armadi tagliando gli sportelli e sostituendo grandi vetri scorrevoli su rotelle (Foto …). Il materiale in questa sala fu diviso secondo la destinazione liturgica, calici, ostensori, croci etc.; i singoli oggetti isolati in piccole lastre di cristallo, che si reggono su due piedi niccelati (?). Il fondo degli armadi fu rivestito di tela grigia come nella prima sala.

[f. 10] Alla fine fu messa a posto anche una piccola vetrina orizzontale – del tipo comune – con alcune stoffe medievali e si appesero alle pareti frammenti di pitture cimiteriali.

In seguito, dopo riatte sale del vecchio medagliere, si iniziò l'ordinamento della sezione oriente cristiano nelle dette due sale. La prima sala fu riservata al Tesoro del Sancta Sanctorum, che contiene specialmente oggetti di provenienza orientale. Le stoffe vennero appese – come già si disse – alle pareti, in ordine cronologico: fra le finestre le stoffe in tela di origine paleocristiana (tuniche e …); accanto, le stoffe sasanidi, passando poi alle siriane, egiziane, bizantine. La grande tovaglia d'altare, dopo che fu lavata con Persil sotto la sorveglianza di Monsignore Le Grelle, e la domestica di S. Em. Mercati, fu posta sotto cristallo e collocata a parte nella sala dove trovarono pure luogo le due grandi vetrine con oggetti in metallo, smalto, avorio, legno, vetro etc. Alcuni piccoli oggetti non sono stati ancora esposti, in attesa di una vetrina orizzontale. Così per alcuni piccoli frammenti di seta si è progettata una vetrina con un armadio di sotto, per deposito, il cui disegno ci fu inviato dalla direzione del museo del Louvre di Parigi. Tutto pertanto il tesoro è ora raccolto ed esposto [f. 11] in una sala. È in preparazione una piccola guida di questa sala. La prima sala del vecchio medagliere, ornata d'un bel pavimento in marmo, è destinata all'Arte bizantina posteriore allo scisma. La parete principale accanto alla finestra è coperta dalla grande iconostasi di Cefalonia, dono del prof. Silvio S. Mercati; invece il mobilio della stessa chiesa, che divideva la parte degli uomini da quella delle donne sta a destra. Il resto della parete della sala è riempito con icone russe, greche, e copte e una vetrina con piccoli oggetti in avorio, legno e altro materiale. Le icone provengono in gran parte dal deposito della Pinacoteca, la vetrina fu data dalla Direzione dei Musei, nella speranza, di veder costruita una nuova vetrina verticale ed una orizzontale.

Da ultimo furono riordinate la sala degli indirizzi di Leo XIII e la Cappella di S. Pio V (Foto …). Dalla prima furono eliminati gli scaffali con libri e si collocò un altare in stile barocco, concesso dai musei (Prof. Biagetti) per ridare il carattere alla graziosa cappella. L'invetriata a colore col ritratto del Papa Pio IX fu trasportata nel deposito e sostituito da una grossa vetrina eseguita su disegno del Comm. Ravasco di Milano della Ditta … di Saronno nella quale grossa vetrina, destinata ad accogliere il Tesoro di S. Cecilia, sono esposti per ora i paramenti sacri del Papa Clemente VIII, dianzi conservati nel tesoro della Cappella Sistina [f. 12]. Per i paramenti sacri del Rinascimento, che la munificenza di Pio XI fece trasportare al museo sacro, quasi tutti di provenienza papale, come quelli di Paolo V, Alessandro VII, Clemente VIII, la cosiddetta cornice di Bonifazio VIII, fu preparata la sala degli indirizzi di Leone XIII. Si ordinarono all'uopo grandi vetrine in acciaio, con vetri scorrevoli, secondo i disegni del com. Ravasco di Milano. Il fondo di tali vetrine fu ricoperto di tela grigia. La sala è molto adatta per l'esposizione, perché riceve scarsa luce dalle finestre, ed è illuminata con luce indiretta sopra la vetrina nel centro.

Le vetrine più complicate furono ordinate nel 193…2 per i vetri a oro della ditta Sage … di Londra (Foto …). Secondo le esperienze fatte nei musei di Berlino con i vetri a oro paleocristiani e quelli degli scavi fatimidi, per vetri deteriorati – come sono quelli provenienti dalle catacombe – non c’è altro rimedio che una conservazione sotto alcool in una vetrina senza aria chiusa ermeticamente. Il tipo berlinese poté essere perfezionato dalla ditta di Londra sotto la sorveglianza del signor Eric Maclagan, direttore generale del Victoria and Albert Museum. Queste vetrine orizzontali, di acciaio cromato, chiudono [f. 13] perfettamente perché i vetri laterali entrano in un canale pieno di olio, che il sale … che è conservato sotto il fono assorbisca subito l'aria ancora esistente nella vetrina chiusa. Provvisoriamente le due vetrine trovarono posto nella sala dei papiri.

W.F.V.

5/3/41/II

Footnotes

1 La ricerca è stata portata avanti grazie alla Wolfgang Fritz Volbach-fellowship del programma Leibniz-WissenschaftsCampus – Byzanz zwischen Orient und Okzident, ottenuta da chi scrive nel 2020 ma condotta solo nel novembre–dicembre 2023 come ricercatrice ospite presso il Leibniz-Zentrum für Archäologie di Mainz.

3 Riguardo alle circostanze politiche e personali che hanno portato Volbach a lasciare la Germania e al suo ritorno nel dopoguerra, le informazioni fornite da lui stesso e dai biografi sono discontinue. Certamente il periodo romano non fu semplice, poiché caratterizzato da forte insicurezza generale (per la sua situazione di rifugiato in Vaticano in un momento storico assai duro per Roma occupata dai nazifascisti) e seria incertezza economica (dovuta ad un livello professionale equiparabile ad un ‘assistente’ con cui era stato integrato ai Musei Vaticani), oltre che dal lutto per la perdita della prima moglie proprio al termine dell'esilio nella città eterna.

4 Avendo avuto l'opportunità di essere guidata dal discendente dei Kirsch-Puricelli in una visita a Burg Reichenstein nel giugno 2023, ho potuto ritrovare io stessa la firma di Volbach sul libro degli ospiti.

5 Appartengono forse all'Istituto altri calchi oggi presso il Museo Pio-Cristiano dei Musei Vaticani, ma questa è una pista in corso di studio.

6 Come il clamoroso caso del ‘San Girolamo’ di Vasari e aiuti conservato nell'aula magna: Daniele, Reference Daniele2017. Maggiori informazioni sono invece disponibili per quanto concerne la collezione di epigrafi una volta appartenute a Giovanni Battista de Rossi e donate dalla figlia Natalia Ferraioli: Frascati, Reference Frascati1997.

7 Archivio Storico del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, IX. 11. U–V: ‘Mi permetto di domandare, se per questo inverno posso annunziare le conferenze: “Tutela e restauro dei monumenti” e quando devo cominciare.’

8 Come ad esempio, per rimanere nell'ambito del suo periodo romano, nella relazione presso la Pontificia Accademia Romana di Archeologia: Volbach, Reference Volbach1934.

9 Volbach, Reference Volbach1928: in particolare 143–4.

10 Tra cui quelli sull'esposizione di arte georgiana a Berlino e Colonia nel 1930 (commentata in Volbach, Reference Volbach1930) e l'esposizione bizantina di Parigi del 1931 (in Volbach, Reference Volbach1931–2).

11 Archivio del Leibniz-Zentrum für Archäologie Mainz, FV 023/036. Si tratta evidentemente di una bozza di un documento ufficiale da consegnare alla direzione della Biblioteca al termine di un periodo di lavori.

12 Archivio del Leibniz-Zentrum für Archäologie Mainz, FV 023/036, f. 11.

13 Archivio del Leibniz-Zentrum für Archäologie Mainz, FV 023/036, f. 7.

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Fig. 1. L'allestimento di una delle sale bizantine del Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino nel 1933 dopo il riordinamento di Volbach (Leibniz-Zentrum für Archäologie, Archiv).

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Fig. 2. Veduta di alcune sale del Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza nel periodo in cui Volbach ne era direttore (Leibniz-Zentrum für Archäologie, Archiv).

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Fig. 3. Una sala del Römisch-Germanisches Zentralmuseum nel 1934 (da Römisch-Germanisches Zentralmuseum1934).