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OLSON E LA “ LEGGE FERREA ” DELLA PARTECIPAZIONE

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

Nella vastissima letteratura esistente sulla partecipazione politica, un tema ricorrente degli ultimi trent'anni (cioè, almeno dalla seconda edizione di Capitalism, Socialism and Democracy di J. Schumpeter nel 1954) è costituito dal dibattito tra teorici « élitisti » e « partecipazionisti » attorno ai livelli possibili e desiderabili di coinvolgimento politico di massa ai fini di un corretto funzionamento dei regimi democratici. Tra le diverse questioni oggetto di confronto e — a volte — di polemica — c'è stata e c'è tutt'ora quella riguardante gli obiettivi del cittadino nei quali rintracciare i motivi ed il senso della partecipazione politica. Le note che seguono sono dedicate ad un'analisi di questo tema basata sul paradigma interpretativo di Olson. Nel suo famoso libro Olson elabora e propone una teoria generale di comportamento razionale per l'affermazione di “ obiettivi comuni ” ed il conseguimento di beni pubblici in cui vengono individuate le ragioni sia della partecipazione che dell'astensione politica. Infatti, le definizioni oggi piò in uso di ‘partecipazione’ rimandano alle attività volontarie di privati cittadini rivolte ad influenzare, piò o meno direttamente, le decisioni politiche, ma soprattutto, in ultima analisi, le decisioni ‘governative’ ed i loro ‘esiti’. Ambedue coincidono con gli « obiettivi comuni » di Olson, la cui realizzazione richiede politiche governative e realizzazioni legislative.

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References

1 L'interesse per l'opera di J. Schumpeter è ancora assai vivo. Si vedano i due recenti saggi di Urbani, G., Schumpeter e la scienza politica e di Ferrera, M., Schumpeter e il dibattito sulla teoria competitiva della democrazia, entrambi in «Rivista Italiana di Scienza Politica», XIV (1984), rispettivamente a pp. 384412 e 413-432. Per un'utile indicazione dei temi oggetto del dibattito tra «élitisti» e «partecipazionisti» con ampi riferimenti bibliografici, si veda Stoppino, M., Élites, democrazia e partecipazione, presentazione a P. Bachrach, La teoria dell'élitismo democratico, Napoli, Guida, 1974, pp. VII-XXXII; Sartori, G., Democrazia competitiva e élites politiche, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», VII (1977), pp. 327-356.Google Scholar

2 Si vedano, tra gli altri, i saggi raccolti in Pennock, J.R. e Chapman, J.W. (eds.), Participation and Politics , New York, Liberty-Atherton, 1975, spec. quello di Kiem, D.W., Participation in Contemporary Democratic Theories, pp. 1-38.Google Scholar

3 Olson, M., The Logic of Collective Action , Cambridge, Harvard University Press, 1965, trad. it. La logica dell'azione collettiva. I beni pubblici e la teoria dei gruppi, Milano, Feltrinelli, 1982. Le citazioni sono dall'edizione inglese.Google Scholar

4 Olson sostiene che, nonostante l'approccio e gli strumenti di analisi utilizzati nel suo libro siano ricavati dalla teoria economica, le sue conclusioni debbono ritenersi valide anche per sociologi e scienziati della politica. Cfr. Olson, M., op. cit. , p. 3: sulla pretesa generalità della teoria si veda anche, in conclusione, p. 159.Google Scholar

5 Cfr. Nie, N.H. e Verba, S., Political Participation , in Greenstein, F. e Polsby, N. (eds.), Handbook of Political Science , Reading, Addison-Wesley, 1975, vol. 4; Milbrath, L., Political Participation, Chicago, Rand McNally, 1955.Google Scholar

6 Olson, , op. cit. , pp. 12 e 163.Google Scholar

7 Tralascio qui il problema della volontarietà della partecipazione poiché nella «Logica» di Olson assume un significato completamente diverso da quello che ha nelle definizioni citate nel testo (e in altre).Google Scholar

8 Olson, M., op. cit. , p. 159.Google Scholar

9 Cfr. Goio, F., Movimenti collettivi e sistema politico , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», XI (1981), pp. 346.Google Scholar

10 Olson, , op. cit., cap. V (Orthodox Theories of Pressure Groups), pp. 111131.Google Scholar

11 Ibidem, p. 1.Google Scholar

12 Ibidem, p. 2.Google Scholar

13 Ibidem, p. 133. L'affermazione, ovviamente, vale anche per le organizzazioni che si propongono la conquista dei ruoli d'autorità.Google Scholar

14 Le scelte di un'impresa influiranno in maniera impercettibile sul pezzo del bene dell'industria di cui è parte, sia che aumenti o diminuisca il livello della propria produzione; la defezione di un aderente non comprometterà le sorti dell'organizzazione di cui era parte e la sua permanenza non ne aumenterà la forza; l'evasione fiscale di un cittadino non avrà conseguenze percepibili sullo stato della finanza pubblica così come il versamento delle imposte non migliorerà la qualità di beni e servizi forniti dall'Amministrazione.Google Scholar

15 Ibidem, p. 15.Google Scholar

16 Ibidem. Google Scholar

17 Ibidem, pp. 1516.Google Scholar

18 Ibidem, p. 29. Sul punto si veda anche Olson, M. e Zeckhauser, R., An Economic Theory of Alliance , in «Review of Economics and Statistics», XLVIII (1967), pp. 266279.Google Scholar

19 Olson, , op. cit. , p. 37.Google Scholar

20 Ibidem , p. 38. Per le due caratteristiche dei beni pubblici — rispettivamente, infeasibility of exclusion e jointness of supply — si veda spec. a pp. 14, 15, 38 e 40. Si può dire che solo il bene perfettamente inclusivo è perfettamente non escludibile: ne consegue che il bene pubblico «puro» deve possedere ambedue i requisiti.Google Scholar

21 Ibidem, p. 37.Google Scholar

22 Ibidem, p. 39.Google Scholar

23 Si veda quanto affermato in precedenza, a p. 77.Google Scholar

24 Ibidem, p. 37.Google Scholar

25 Come Olson sa bene. Si veda, fin dall'introduzione al libro, a pp. 23 e, spec. sull'obbligatorietà della membership, a pp. 16, 87 e 133.Google Scholar

26 Ibidem, pp. 23 e 48.Google Scholar

27 Ibidem, p. 48.Google Scholar

28 A dimostrazione del punto, riprendiamo l'esempio e la notazione di Olson. Il bene inclusivo è dato da un provvedimento di riduzione delle imposte sulla proprietà proposto ed ottenuto da un gruppo di pressione: supponiamo che il taglio del prelievo fiscale sia pari a 1 dollaro per ogni 100 dollari di proprietà. Se, per ipotesi, il gruppo in questione è composto da 10 individui, ognuno con proprietà di valore 100$, il vantaggio collettivo del gruppo (Vg) è 10$, il vantaggio individuale (Vi) è 1$, la ‘frazione’ individuale (Vi/Vg) è pari a 1/10. Se le dimensioni del gruppo aumentano — per es.: gli individui con proprietà valutata 100$ diventano 50 — Vg = 50, Vi = 1, Vi/Vg = 1/50. Come si può notare, il vantaggio individuale resta costante mentre, ovviamente, la ‘frazione’ individuale si contrae. Per un'analisi delle conseguenze che la natura — inclusiva o esclusiva — e la qualità — superiore o inferiore — del bene pubblico esercitano sui livelli di acquisizione del bene stesso nel large group, cfr. Chamberlain, J., Provision of Public Goods as a Function of Group Size , in «American Political Science Review», LXVIII (1974), pp. 707715; si veda anche Abrams, R., Foundations of Political Analysis, New York, Columbia University Press, 1980, spec. pp. 298-304. Il tema affrontato da Chamberlain è solo accennato a pp. 29, 46 della «Logica »; Olson se ne è però occupato più diffusamente nel saggio scritto in collaborazione con R. Zeckhauser (si veda nota n. 18).CrossRefGoogle Scholar

29 Olson fa l'ipotesi che «i costi totali dei beni collettivi desiderati dai grandi gruppi siano abbastanza elevati da superare il valore della piccola ‘frazione’ di beneficio totale che un membro del gruppo ottiene, cosicché egli non provvederà il bene» (p. 41). Come si è visto nella nota precedente, l'ipotesi dovrebbe essere centrata attorno ai vantaggi e non alle frazioni individuali. È in questo senso che verrà usata la dizione di gruppo grande e latente nelle pagine che seguono.Google Scholar

30 Ibidem, p. 28. Il requisito, com'è noto, era compreso nella originale definizione di bene pubblico «puro» proposta da Samuelson, P. in The Pure Theory of Public Expenditure , in «Review of Economics and Statistics», XXXVI, 1954, pp. 387389.Google Scholar

31 Olson, , op. cit. , p. 22.Google Scholar

32 Basti pensare, per esempio, al pacchetto di questioni sui diritti civili sul quale l'elettorato italiano è stato chiamato a votare nei referenda del 1974 e del 1981; venendo a tempi più recenti, si prenda il tema della riforma istituzionale.Google Scholar

33 Moe, T., The Organization of Interests, Chicago, Chicago University Press, 1980, p. 14.Google Scholar

34 Hirschman, A.O., Shifting Involvements , Oxford, Robertson, 1982, p. 17, trad. it. Felicità privata e felicità pubblica, Bologna, Il Mulino, 1983.Google Scholar

35 Riker, W. e Ordeshook, P., An Introduction to Positive Political Theory, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1973, pp. 837.Google Scholar

36 Ibidem, pp. 1516.Google Scholar

37 Olson, , op. cit. , p. 160, nota 91.Google Scholar

38 Le diverse combinazioni di convenienza e utilità dell'azione collettiva danno origine ai seguenti incroci: Utilità SÌ NO Convenienza SÌ Azione razionale (senza incentivi selettivi) Azione razionale (solo con incentivi selettivi) NO Azione altruista, sacrificio Astensione La prima riga della tabella indica che la convenienza non è condizione sufficiente di azione razionale e che incentivi selettivi sono necessari perché vengano rispettati i postulati di Olson. La prima colonna mostra invece che l'utilità potrebbe essere condizione sufficiente di azione razionale solo violando l'assunto di self-interest (a meno di prevedere incentivi selettivi che compensino la nonconvenienza del bene pubblico).Google Scholar

39 Olson, , op. cit. , p. 44.Google Scholar

40 Ibidem, p. 46, nota 67.Google Scholar

41 Contra, si veda l'analisi sviluppata da Frolich, N., Oppenheimer, J. e Young, O., Political Leadership and Collective Goods, Princeton, Princeton University Press, 1971, spec. p. 35, per spiegare la partecipazione volontaria e razionale in gruppi «latenti».Google Scholar

42 Olson, , op. cit. , p. 161.Google Scholar

43 Ibidem, pp. 160161. Naturalmente Olson si riferisce alle dimensioni «di massa» e non alle caratteristiche organizzative «di massa» dei movimenti (o di altri gruppi numerosi poiché in Olson manca del tutto un'analisi del genere).Google Scholar

44 Ibidem, p. 161.Google Scholar

45 Ibidem, p. 162.Google Scholar

46 Ci si potrebbe domandare in base a quali criteri viene fissata la quota personale dei costi di un fine comune a tutti. Senza entrare nel problema, basta sottolineare che si tratta di shares, di porzioni inferiori al costo totale del bene pubblico desiderato, che non definiscono un gruppo «privilegiato».Google Scholar

47 Ibidem, pp. 44, 46 e 50.Google Scholar

48 Ibidem, spec. a pp. 3234. Del resto Olson in altra parte del libro smentisce sé stesso: cfr. pp. 47-48.Google Scholar

49 Su questo passaggio della «Logica» si veda la nota 29.Google Scholar

50 Ibidem, p. 106. Per un approccio simile al problema, cfr. Tullock, G., The Paradox of Revolutions , in «Public Choice», XI (1971), pp. 8999.Google Scholar

51 Olson, , op. cit. , pp. 86, 91, 106, 129, 134 e 146. Altrove nel libro Olson ricorda che l'impresa di un mercato perfettamente concorrenziale avrà qualche effetto sul prezzo della merce, ma essendo piccolo — minuscolo, appunto — sarà trascurato nella decisione dei comportamenti da assumere.Google Scholar

52 Ibidem, p. 164.Google Scholar

53 La proposta di Olson è comunque originale: non segue Downs nell'interpretazione del voto come risultato del senso di responsabilità e dell'interesse di lungo andare degli elettori al mantenimento del sistema democratico (che inciampa nell'obiezione della free ride), né anticipa Riker e Ordeshook nell'ipotesi del fattore D, ovvero dei benefici che l'individuo ricava per il solo fatto di andare a votare indipendentemente dagli effetti sull'esito della competizione elettorale (ma sono, né più né meno, incentivi selettivi). Cfr. Downs, A., An Economic Theory of Democracy , New York, Harper & Row, 1957; Riker, W. e Ordeshook, P., A Theory of the Calculus of Voting, in «American Political Science Review», LXII (1968), pp. 25-42.Google Scholar

54 Olson, , op. cit. , p. 164, n. 102.Google Scholar

55 Infatti, posto: 1) Pj(Xi) = probabilità che il voto di j sia determinante per il successo del partito preferito; 2) Uj(Xi) = utilità associata da j alla vittoria del partito preferito; 3) Cj(Xi) = costo del voto dato da j per favorire l'affermazione del partito preferito; 2) è comune a partecipazione ed astensione, mentre 1) e 3) entrano soltanto nell'equazione del voto. Tuttavia le due grandezze a cui è teoricamente legata la differenza tra voto e non voto sono irrilevanti per le definizioni di utilità e di soglia. Gli effetti di un voto sul risultato elettorale non sono significativi al punto da fornire un motivo razionale per partecipare; i costi del voto non sono significativi al punto da fornire un motivo per non partecipare. Voto e non voto logicamente si equivalgono poiché il valore di 2 è identico in ambedue i casi.Google Scholar

56 Ibidem. Olson cita a sostegno empirico del suo assunto la ricerca di Berelson, B., Lazarsfeld, P. e McPhee, W., Voting, Chicago, Chicago University Press, 1954, una delle prime a sottolineare disinteresse, disinformazione e scarso coinvolgimento politico dell'elettorato.Google Scholar

57 Olson, , op. cit. , p. 163.Google Scholar

58 Per un'analisi della logica dell'azione collettiva qua dilemma del prigioniero, cfr. Hardin, R., Collective Action as an Agreeable n-Prisoner Dilemma , in «Behavioral Science», XVI (1971), pp. 472481, ora ripubblicato in Barry, B. e Hardin, R. (eds.), Rational Man and Irrational Society, Beverly Hills, Sage, 1982, pp. 123-135.Google Scholar

59 Olson, , op. cit. , pp. 2, 3, 12, 16, 44, 48.Google Scholar

60 Ibidem, pp. 15 e 51.Google Scholar

61 Ibidem, pp. 51 e 61.Google Scholar

62 Ibidem, p. 51, nota 72.Google Scholar

63 Identificazione e coerenza ideologica presuppongono l'oggetto-bene collettivo con cui identificarsi e rispetto al quale essere coerenti, pur restando formalmente distinti dalla sua realizzazione. Ciò non toglie che Olson non le citi mai come specifici incentivi selettivi.Google Scholar

64 Ibidem, p. 12.Google Scholar

65 Ibidem, p. 87.Google Scholar

66 Ibidem, pp. 100110.Google Scholar

67 Ibidem, p. 61.Google Scholar

68 Ibidem, p. 62. Il punto è uno di quelli più frequentemente colti nella letteratura. Olson, infatti, nonostante le possibilità inclusive teoricamente infinite e «l'accenno intermittente a pressioni sociali, ideologie e perfino altruismo», è stato criticato per aver posto al centro del suo teorema un artificiale individuo mono-dimensionale, sottovalutando le implicazioni di motivazioni e valori diversi dall'interesse economico. Per la citazione, cfr. Moe, op. cit., p. 24. Per argomentazioni simili, cfr. Wilson, J.Q., Political Organizations, New York, Basic Books, 1973.Google Scholar

69 Olson, , op. cit. , p. 133. Si ripropone a questo punto il problema della definizione del contenuto degli incentivi selettivi: l'etichetta «sociale» è di tipo catch-all, tutt'altro che selettiva! Google Scholar

70 Ibidem. Osserva al proposito T. Moe: «l'accordo politico con gli obiettivi del gruppo non indurrà un suo sostenitore all'adesione, mentre il disaccordo non riuscirà a tenere lontano un suo non-sostenitore». Cfr. Moe, T., A Calculus of Group Membership , in «American Journal of Political Science», XXIV (1980), p. 264.Google Scholar

71 Op. cit. , p. 86.Google Scholar