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INSEDIAMENTO SUBCULTURALE E DISTRIBUZIONE DEI SUFFRAGI IN ITALIA
Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Introduzione
Le previsioni elettorali della primavera '76 davano per certo un grosso calo della DC e non escludevano il « sorpasso » dei comunisti. Confrontando a caldo i risultati con questo « scenario », è stata naturale la tendenza a sottovalutare i mutamenti introdotti dall'ultima tornata elettorale. Essa tuttavia costituisce, in un'ottica di lungo periodo, un momento di svolta. Quanto meno non si è confermata la stabilità che l'elettorato italiano aveva esibito dal '53 al '72. Stabilità che peraltro non escludeva che all'interno degli schieramenti si verificassero fenomeni dinamici importanti come la tendenza del PCI a prevalere all'interno della sinistra e quella del MSI a prevalere all'interno della destra. Gli incrementi comunisti però, come mostra la tabella 1, sono fino al '72 abbastanza limitati: 8,2 punti percentuali nell'arco di sette elezioni con un « gradino » massimo di 2,6 punti nel '63 rispetto al '58. Dal '72 al '76 invece il PCI aumenta di ben 7,3 punti, mentre l'incremento della sinistra non comunista nel suo insieme è in proporzione molto piccolo (0,7 punti percentuali). L'espansione dell'area di sinistra è quindi quasi totalmente attribuibile al PCI, che oltre a una grossa quota del voto giovanile ha probabilmente conquistato anche un certo numero di ex-elettori del centro e della destra.
- Type
- Ricerche
- Information
- Italian Political Science Review / Rivista Italiana di Scienza Politica , Volume 6 , Issue 3 , December 1976 , pp. 481 - 514
- Copyright
- Copyright © Società Italiana di Scienza Politica
References
1. Le province attribuite ad un'area geografica fisicamente non contigua o comunque diversa da quella abituale sono in corsivo. Le province di Aosta e Bolzano sono state escluse dall'analisi poiché presentavano notevoli problemi di comparabilità con le altre, dato il prevalere di liste locali.Google Scholar
2. Che la relazione tra PCI e PSI fosse diversa nelle diverse zone d'Italia era già stato notato da Sidney Tarrow relativamente alle elezioni del 1963. Egli rilevava infatti che la correlazione tra voto comunista e voto socialista era negativa nell'Italia settentrionale (che per lui comprendeva anche Toscana, Umbria e Marche) e positiva in quella meridionale (comprendente il resto delle regioni): lì infatti il PSI otteneva percentuali alte dove il PCI era forte e percentuali basse dove il PCI era debole. Le sue conclusioni erano dunque che mentre nel Nord gli elettori scelgono il PCI a spese del PSI, nel Sud i due partiti non sono ancora abbastanza differenziati per essere percepiti in contrapposizione.Google Scholar
Nonostante la suddivisione in zone operata da Tarrow mi sembrasse troppo semplicistica, ho voluto riscontrare adottandola se quanto da lui affermato per il '63 fosse ancora valido nel '72 e nel '76. Relativamente al Meridione ho ottenuto per il '72 una correlazione di —.05, non solo dunque vicinissima allo zero, che indicherebbe assenza di relazione, ma addirittura negativa; a maggior ragione i risultati di Tarrow non vengono confermati per il '76 in quanto la correlazione è di —.15. Tarrow, S. G., Peasant Communism in Southern Italy, New Haven, Yale Univ. Press, 1975, p. 185. tr. it. Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno, Torino, Einaudi, 1972.Google Scholar
3. Fanno eccezione le province del Triangolo Industriale nelle quali il PSI ottiene sempre percentuali superiori alla sua media nazionale (salvo che a Piacenza e a Vercelli).Google Scholar
4. Si noti che queste province si trovano nel grafico in Fig. 2 (rapporti PCI-DC) nell'area dove la forza congiunta di PCI e DC è massima.Google Scholar
5. Capecchi, V., Cioni Polacchini, V., Galli, G. e Sivini, G., Il comportamento elettorale degli italiani, Bologna, Il Mulino, 1968, p. 243.Google Scholar
6. Nel '72 il coefficiente di correlazione è — .86, nel '76 è — .90.Google Scholar
7. Tarrow, S. G., op. cit. , pp. 181–183.Google Scholar
8. Nel '72 il coefficiente di correlazione è — .92 al Nord e — .48 al Sud. Nel '76 esso è invariato al Nord (— .93) ma è — .70 al Sud.Google Scholar
9. Marradi, A., op. cit. , pp. 627–628.Google Scholar
10. Capecchi, V. et al., op. cit. , pp. 220–221.Google Scholar
11. Blalock, H. M., Causal Inferences in Nonexperimental Research, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1964.Google Scholar
12. È interessante notare che la proporzione di iscritti al PCI è rimasta praticamente stabile anche rispetto al '63. Vedi Tarrow, S. G., op. cit. , p. 203.Google Scholar
13. Tarrow, , anche se per un'altra strada, arriva alle stesse conclusioni. Relativamente al '63 egli nota che nel Nord gli iscritti aumentano lentamente quando il voto comunista passa dal 5% al 25%, e rapidamente per percentuali superiori al 25%; nel Sud la membership varia di poco da provincia a provincia, senza relazione alcuna con la forza elettorale del partito. Mentre nel Nord esiste una forte relazione positiva tra voti comunisti e numero degli iscritti, nel Sud tale relazione è assente. Questi dati, secondo Tarrow, darebbero adito a due possibili interpretazioni: la prima che considera la membership come dipendente dalla forza elettorale del PCI e la seconda che considera la membership come variabile indipendente e il successo elettorale come variabile dipendente. La seconda interpretazione gli appare piú verosimile, in quanto il numero di iscritti al PCI nel Sud è generalmente più basso che nel Nord, anche in province con uguali percentuali di voti comunisti. Tarrow, S. G., op. cit. , pp. 202–204.Google Scholar
14. Marradi, A., op. cit. , pp. 607–608. Per maggiori informazioni sulla regressione multipla si veda la letteratura ivi citata.Google Scholar
15. La mappa delle forze marxiste in Italia non è cambiata molto dal 1919 al 1946: sia prima che dopo il periodo fascista il punto di forza è rappresentato dalla Cintura Rossa. L'unica differenza, secondo Dogan, è che mentre prima del ventennio i voti socialisti provenivano quasi esclusivamente dai braccianti (c'era infatti una spaccatura tra i braccianti socialisti e i mezzadri repubblicani) nel secondo dopoguerra il PCI è riuscito a tenere i braccianti con la forza della tradizione e ad attrarre i mezzadri con una politica a loro favorevole. Il declino numerico del bracciantato non ha quindi mutato la situazione, ma ha anzi permesso al PCI di continuare senza alcun rischio la sua scelta politica a favore dei mezzadri.Google Scholar
Si veda in proposito Galli, G., Il bipartitismo imperfetto: comunisti e democristiani , in Farneti, P. (a cura di), Il sistema politico italiano, Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 263–285; Dogan, M., Political Cleavage and Social Stratification in France and Italy , in Lipset, S. M. e Rokkan, S. (eds.), Party Systems and Voter Alignments: Cross-National Perspectives, New York, The Free Press, 1967, pp. 129–195; Poggi, G., L'organizzazione partitica del PCI e della DC, Bologna, Il Mulino, 1968, p. 377.Google Scholar
16. In realtà questa è una spiegazione per «non addetti ai lavori». Una spiegazione piú tecnica si trova in qualsiasi testo di statistica multivariata.Google Scholar
17. Come riporta G. Bibes, il PCI ottiene i risultati piú rilevanti nelle cittadine industriali con piú di 30.000 abitanti. Mentre l'elettorato rurale disperso, tranne che nell'Italia centrale (leggi Zona Rossa) è per il PCI il piú refrattario. I piccoli comuni inferiori a 5.000 abitanti sono meno favorevoli dei grossi. Bibes, G., Le système politique italien, Paris, Presses Universitaires de France, 1974, p. 117, traduzione italiana, Il sistema politico italiano, Rimini, Guaraldi, 1975.Google Scholar
18. Per maggiori chiarimenti rinviamo a Blalock, H. M., op. cit. Google Scholar
19. In questo quadro quindi il peso negativo delle auto di nuova immatricolazione serve a controbilanciare quello delle altre variabili presenti nell'equazione 8, che altrimenti caratterizzerebbero il PSI come il partito delle sole aree industrializzate senza considerare che esso mantiene ancora alcuni punti di forza nel Sud (in particolare in Calabria) e nelle province bianche del Veneto.Google Scholar
20. Sani, G., La strategia del PCI nell'elettorato italiano , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», III (1973), pp. 551–579, a pp. 562–565. Sylos Labini, P., Sviluppo economico e classi sociali in Italia, in «Quaderni di Sociologia», XXI (1972), pp. 371–443, a pp. 396–397.Google Scholar
21. Il concetto di partito pigliatutto si deve a Otto Kirchheimer: «…Il partito di integrazione di massa prodotto di un'epoca in cui esistevano rigide divisioni di classe e strutture denominazionali piú differenziate, si sta trasformando in un partito “del popolo”, pigliatutto. Abbandonando i tentativi di formazione morale e intellettuale delle masse, si sta spostando sempre piú chiaramente verso la ribalta elettorale, rinunciando ad agire in profondità, e preferendo un piú vasto consenso e un immediato successo elettorale. La piú limitata attività politica e l'obiettivo elettorale immediato si differenziano notevolmente dai precedenti interessi generali; questi vengono oggi considerati controproducenti perché tengono lontani settori di una potenziale clientela elettorale». Kirchheimer, O., La trasformazione dei sistemi partitici dell'Europa occidentale , in Sivini, G. (a cura di), Sociologia dei partiti politici, Bologna, Il Mulino, pp. 177–201, a p. 185.Google Scholar
22. Vi sono però alcune caratteristiche del partito pigliatutto che non sono riscontrabili nel PCI. Come notano Parisi e Pasquino: «Il PCI è un partito che non ruota attorno esclusivamente ai dirigenti (mentre secondo Kirchheimer, nel caso dei partiti pigliatutto “l'attenzione sia del partito sia in genere del pubblico si concentra piú chiaramente sui problemi di selezione dei dirigenti”, p. 198), che laddove si insedia riesce sempre, seppure a malapena e con fatica, soprattutto nelle zone in cui l'insediamento è recente, a stabilire una rete organizzativa abbastanza differenziata, diffusa e intenzionalmente permanente, cioè non intermittente, che lega a sé i gruppi di interesse esterni anche se non piú con un rapporto da cinghia di trasmissione, ma piú flessibile e articolato… è difficile sostenere che per il PCI è valida un'altra caratteristica del partito pigliatutto, e cioè che “i rapporti del cittadino con il partito politico… diventino sempre piú occasionali e limitati” (p. 195); semmai è vero il contrario, cioè il PCI soffre (e può far ‘soffrire’) per un eccesso di democrazia organizzata». Parisi, A. e Pasquino, G., 20 giugno: struttura politica e comportamenti elettorali , in «Il Mulino», XXV (1976), pp. 342–386. a p. 359.Google Scholar
23. Spreafico, A., Risultati elettorali ed evoluzione del sistema partitico , in Caciagli, M. e Spreafico, A. (a cura di), Un sistema politico alla prova, Bologna, Il Mulino, 1975, pp. 25–83, a p. 57.Google Scholar
24. Già Dogan aveva rilevato il declino dei socialisti, dal '46 al '63, nel Nord e la loro crescita nel Sud. Dogan, M., op. cit. , p. 192.Google Scholar
25. Che il nuovo voto comunista sia stato in molti casi dettato da un'esigenza di ordine, risulta anche dalle prime analisi dei dati di una ricerca a sondaggio, in corso all'Istituto di Scienza Politica dell'Università di Firenze, diretta dai proff. Sartori, G. e Marradi, A. Google Scholar