No CrossRef data available.
Published online by Cambridge University Press: 17 July 2018
La vicenda del Labour Party degli anni ottanta costituisce un caso altamente paradigmatico, al di là della peculiarità della sua forma organizzativa (partito confederato e indiretto) e del contesto politico-istituzionale in cui opera (Allum 1988), di molteplici problemi che la scienza politica ha sollevato negli ultimi decenni circa la prospettiva del partito di massa e di quello specificamente ad origine di classe. Le tesi del declino del partito di classe e dell'esaurirsi dell'opposizione politico-parlamentare (Massari 1990a) sembravano calzare perfettamente alla parabola sempre più declinante del Labour Party a partire dalla metà degli anni settanta fino a culminare nel quasi collasso dei primi anni ottanta. Nel 1981 il partito subisce una pesante scissione alla sua destra, con la formazione dell'SDP, che con i liberali formerà l'Alliance elettorale. Nelle elezioni del 1983 il partito rischiò seriamente di essere scavalcato dall'Alliance finendo al terzo posto e di perdere il ruolo di opposizione ufficiale. Il suo voto si restrinse, infatti, a solo 8 milioni e mezzo (27,6%, il più basso risultato della sua storia elettorale dal 1918) a fronte di 7 milioni e ottocentomila voti dati all'Alliance (25,4%) e a fronte di una sostanziale stabilità del voto conservatore (42,4%). Il 1983 sembrò, difatti, un punto di svolta sia riguardo al futuro del Labour sia riguardo alla natura del sistema partitico. Occorre guardare alla geografia elettorale per comprendere appieno la portata della trasformazione. Se a livello parlamentare il sistema bipartitico ancora reggeva - avendo ottenuto conservatori e laburisti assieme 606 dei 650 seggi, grazie agli effetti disproporzionali del sistema elettorale - ciò non era più vero al livello dei collegi. A questo livello, il sistema bipartitico sembrava definitivamente rotto. Occorre avere presente che nella competizione maggioritaria ad un turno l'interesse va rivolto non solo, ovviamente, al partito che è arrivato primo alla conquista del seggio, ma anche a chi è arrivato secondo, perché è questo che presumibilmente avrà le chances dell'alternanza al secondo round elettorale. L'Alliance, pur avendo ottenuto solo 23 seggi - e da questo punto di vista il Parlamento formatosi nel 1983 è risultato il meno «proporzionale» del mondo democratico (McLean 1988) - è arrivata seconda in 312 collegi, ossia in più della metà del totale. Il Labour arrivò primo in 209, secondo in 132, ma terzo (o anche peggio) in 292 collegi, corrispondenti a quasi metà dei seggi della Gran Bretagna.
For a long time, the British Labour Party has been one of the most remarkable cases of the decline of mass socialist parties. Rather than providing an exclusively sociological interpretation of this decline, due only to social changes, the first part of this essay underscores the political and institutional factors involved in the crisis of the party (governmental incompetence, sectarian policies, dependence on unions, a lack of internal democracy etc., as well as a move away from the rules and constraints of the «Westminster model»).
In the second part, the essay focuses on the means whereby a process of political innovation was brought about as well as its dimensions. By making use of political communication, social sciences, restoring the role of leadership and the parliamentary opposition, Labour has once again become an electable and governmental party.
Along with these unquestionably positive developments, such as that of rendering the role of Opposition competitive and credible, the process of innovation has brought out the fact that a hard core, resistant to change remains strong, due to the party's cumbersome and union-dependent organizational structure.
The fourth consecutive defeat of Labour in April 1992 calls into question not only the future of European Left, after the upsets of '89, but also the future of the traditional model of British democracy, now that the periodic alternation in power no longer takes place.