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Tra terra e cielo: la topografia ed il culto del lucus Deae Diae - H. Broise, e J. Scheid. 2020. Recherches archéologiques à La Magliana, 3. Un bois sacré du Suburbium romain : topographie générale du site ad Deam Diam. Roma Antica 8. Roma: École française de Rome; Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti Paesaggio di Roma. Pp. 521. ISSN 1120-8597 – ISBN 978-2-7283-1476-8.

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H. Broise, e J. Scheid. 2020. Recherches archéologiques à La Magliana, 3. Un bois sacré du Suburbium romain : topographie générale du site ad Deam Diam. Roma Antica 8. Roma: École française de Rome; Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti Paesaggio di Roma. Pp. 521. ISSN 1120-8597 – ISBN 978-2-7283-1476-8.

Published online by Cambridge University Press:  20 January 2023

Francesco Marcattili*
Affiliation:
Università degli Studi di Perugia
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Abstract

Type
Book Review
Copyright
Copyright © The Author(s), 2023. Published by Cambridge University Press

Il volume, dedicato alla storia degli scavi ed alla topografia generale del santuario della Dea Dia (La Magliana), rappresenta le point final, il punto d'arrivo, di un'esplorazione archeologica iniziata oltre quaranta anni fa, ma che nel tempo è stata già gradualmente descritta e pubblicata in sedi e contributi diversi.Footnote 1 Un'esplorazione problematica per più ragioni, subito ricordate dai curatori nell'introduzione (7–9): la limitata conoscenza che si aveva allora delle emergenze del lucus Deae Diae, noto da fonti storiche e d'archivio talvolta laconiche se non contraddittorie; un'urbanizzazione moderna e selvaggia che lasciava pochi margini per indagini estese; lo spesso strato di terreno che ricopriva i resti romani e che non sempre è stato possibile asportare con l'ausilio del mezzo meccanico; il disturbo della falda freatica, emergente in alcuni settori di questo complesso chantier de banlieue. A distanza di tempo, ed alla fine di un percorso di studio e ricerca certo non agevole, si deve quindi esprimere gratitudine all’équipe diretta da H. Broise e J. Scheid per non aver rinunciato, per la tenacia mostrata nel proseguire l'impresa, che ha assicurato alla comunità scientifica la conoscenza di uno dei complessi sacri più importanti e peculiari del suburbio di Roma. Conoscenza della quale anche chi scrive si è proficuamente giovato in passato per la scrittura dei suoi contributi sul Divorum del Campo Marzio,Footnote 2 sulla tipologia del tetrastylum,Footnote 3 e sulle origini del ciborio d'altare.Footnote 4 Alla fine del volume, dunque, la percezione del lettore non può che essere la medesima dei curatori: nel corso di quattro decenni di esplorazioni nel quartiere de La Magliana, e considerate appunto le difficoltà sopra ricordate, si è fatto davvero il possibile “pour révéler, dater et comprendre ce site” (8).

Il volume, scritto a più mani in francese ed in italiano, e che include un inedito manoscritto in tedesco di Chr. Hülsen (475–88), è pensato e organizzato in tre parti. La prima sezione (L'histoire du site et des fouilles, 11–169), costituita da due capitoli, è dedicata alla storia delle spoliazioni e degli scavi precedenti, quindi delle trasformazioni e delle distribuzioni/variazioni di proprietà che hanno interessato l'area dall'abbandono del culto (metà del 4° sec. d.C. circa) fino al 19° secolo, quando a La Magliana viene realizzata la linea ferroviaria Roma-Pisa e vengono eseguiti – a partire dal 1859 – gli scavi dei fratelli Ceccarelli. In questa prima parte la ricerca è condotta esaminando tutte le fonti storiche e le carte d'archivio disponibili (planimetrie, disegni, cronache, lettere, licenze di scavo, ecc.), inserite direttamente nel testo o trascritte e raccolte in utili appendici ai capitoli. La seconda parte del tomo presenta proprio le indagini recenti dell’équipe francese, svolte come noto in tre periodi diversi (L'exploration archéologique, 171–357). Nei due capitoli che compongono questa seconda parte sono descritte progressivamente ed in dettaglio le stratigrafie, le strutture murarie portate in luce, le sepolture tarde, i reperti rinvenuti (ceramiche, antefisse, decorazioni architettoniche, frammenti epigrafici, resti ossei, ecc.). Il lettore viene guidato nella comprensione delle indagini e dei materiali anche grazie ad un ricco apparato di planimetrie, tabelle, grafici, ricostruzioni, fotografie, che permette di comprendere efficacemente non solo l'ubicazione dei saggi nel quartiere moderno, ma anche – ciò che più interessa – le fasi cronologiche dei contesti e la disposizione degli edifici antichi del lucus e degli immediati dintorni. Il volume si conclude con la terza parte (L'ensemble cultuel de La Magliana, 359–498), dove in due capitoli ed in altrettante appendici si riesamina e commenta l'intera documentazione, in queste pagine finali più ampiamente interpretata sulla base del confronto tra l'evidenza archeologica e l'eccezionale dossier epigrafico del collegio sacerdotale degli Arvali. Si accennava infatti alle peculiarità del lucus Deae Diae, che permette come pochi altri contesti un riscontro diretto tra dimensione topografica, realtà archeologica e documentazione epigrafica, costituita nel caso in esame – un cas d’école – dai preziosi Acta Fratrum Arvalium,Footnote 5 i processi verbali del collegio arvalico, protagonista delle cerimonie e dei rituali che si celebravano regolarmente nel santuario. E nel volume si ribadisce più volte in quali anni questa attività ebbe inizio: il calendario ed i protocolli non risultano precedenti al 32–28 a.C. ed il primo processo verbale conservato è databile al 21 a.C. Un riferimento cronologico prezioso, che non solo contribuisce a datare la prima fase del lucus all'età augustea,Footnote 6 ma sembra scandire un prima e un dopo nelle dinamiche religiose di quest'area del suburbio. È allora in questa terza parte del volume che il lettore arriva a comprendere compiutamente la posizione del lucus nell'ambito dell’ager Romanus antiquus, la sua relazione topografica con la Via Campana e con il Tevere, quindi la presenza nel santuario di complessi/edifici quali l’aedes, il Caesareum, il tetrastylum, i papiliones, il balneum ed il circus, citati appunto nei processi degli Arvali e che in alcuni casi risultano ora archeologicamente noti.

Se per ovvi motivi la documentazione risulta maggiormente cospicua e chiara per la fase severiana, fin dal primo capitolo un'opportuna attenzione è riservata anche alle evidenze di epoca arcaica e repubblicana individuate nell'area, ed in particolare al tempio di Fors Fortuna (368–73), che i colleghi francesi localizzano ipoteticamente ad ovest dell’aedes rotunda attribuita alla Dea Dia (attuale Piazza della Madonna di Pompei). Come noto, le fonti collocano il tempio di Fors Fortuna al VI miglio della Via Campana, duplicazione più recente del tempio dedicato alla stessa divinità e lungo il medesimo percorso all'altezza del I miglio. A La Magliana i dati archeologici più espliciti relativi al culto di Fors Fortuna, ed in particolare le iscrizioni, risalgono alla tarda età repubblicana mentre, come è sottolineato da S., “le terrain n'a rien produit qui permette d'affirmer que le culte de Dea Dia était déjà célébré en cet endroit avant Auguste” (374). Quali possono essere le ragioni di un rapporto tanto stretto tra Fors Fortuna e Dea Dia, che da un certo momento sembrano unirsi nel culto di quest'area del suburbio? È la domanda che si è posto chi scrive, soprattutto dopo aver osservato la circolarità dell’aedes che domina il complesso, e che caratterizza normalmente, fin dalla tarda età repubblicana, alcuni dei templi dedicati a Fortuna. Penso alla rotunda del santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina ed al tempio circolare dedicato alla Fortuna Huiusce Diei nell'area sacra di Largo Argentina, al quale ho dedicato uno studio recente.Footnote 7 Se la mia ricostruzione è corretta, Lutazio Catulo scelse per il tempio B di Largo Argentina la planimetria circolare della cella per celebrare il decisivo ruolo che ebbe la luce del sole nel garantire ai Romani la vittoria ai Campi Raudii, in una dimensione cosmica ricreata attraverso la stessa allusiva architettura dell’aedes, e che non lasciò insensibile neppure Varrone nella concezione/realizzazione del suo aviarium di Cassino,Footnote 8 non a caso definito da G. Sauron un “temple du monde.”Footnote 9 Una vittoriosa battaglia, quella dei Campi Raudii, che del resto avvenne poco dopo il solstizio d'estate (così Plutarco),Footnote 10 giorno nel quale si celebrava proprio Fors Fortuna (24 giugno).Footnote 11 E lo stesso tempio di Fors Fortuna al I miglio della Via Campana sarebbe stato a planimetria circolare, se è giusta l'identificazione proposta da Coarelli per la lastra 28 della FUR relativa all'area transtiberina del I miglio,Footnote 12 dove compare infatti un edificio circolare dal diametro non troppo diverso rispetto alla rotonda ad Deam Diam. Ora, se ricordiamo alcuni elementi ricorrenti nelle celebrazioni solstiziali romane, ed in parte ancora presenti nella festa di S. Giovanni della tradizione cristiana, il rapporto di Fors Fortuna con la Dea Dia – «la dea luminosa» celebrata nella seconda metà di maggio – diventa più comprensibile: la luce, appunto, ma anche la polarità acqua-fuoco ed il ruolo del Tevere. Sono tutti elementi che per comprensibili motivi caratterizzano la fase critica del solstizio e che a Roma ritroviamo variamente declinati in altre festività del periodo estivo ricorrenti sempre nella seconda metà del mese: si pensi al ciclo di natura agraria Lucaria, Neptunalia, Furrinalia di luglio o ai Volcanalia di agosto. Non sorprendono, dunque, né la volontà di fondare o rifondare il lucus in questa zona del suburbio a poca distanza dal Tevere, né la scelta della pianta circolare per il tempio del santuario, che perdura ancora nel III secolo d.C., come è documentato nel volume (212–59). Da tali considerazioni risulta confermato il carattere contemporaneamente agrario e celeste della Dea Dia ed il suo rapporto funzionale con l'acqua, quale emerge nelle scoperte de La Magliana sia nel balneum, sia in alcuni espliciti motivi decorativi quali la conchiglia che, come S. ricorda sulla scia di un vecchio lavoro di M. Bratschkova (399–403), può risultare ambiguamente collegata sia alla sfera urania che acquatica.

Se il tempio rotondo con le sue allusioni cosmiche si elevava assialmente sulla terrazza superiore che dominava il complesso, il Caesareum ed il tetrastylum risultavano invece ubicati, almeno in età severiana, “dans la partie basse du sanctuaire, au contact de la colline et de la plaine alluviale” (403–4). Considerata la sua rilevanza per i rituali celebrati dagli Arvali – importanza che emerge dalla lettura degli stessi processi verbali –, la ricostruzione del tetrastylum, purtroppo non individuato nei saggi della missione, viene discussa in più parti del volume (39–48, 380–98, 403–6, 460–65). Due risultano comunque le funzioni qualificanti la tipologia, che successivamente ispirerà la genesi del ciborio d'altare: accogliere all'interno gruppi statuari ovvero immagini di culto, quindi selezionati banchettanti nel corso di epula. Nel caso del lucus suburbano della Dea Dia era proprio all'interno del tetrastilo che i Fratres Arvales consumavano seduti o distesi l’epulum che seguiva il sacrificium. Negli Acta le formule che riferiscono di questo importante momento cerimoniale sono ripetute con poche varianti: in tetrastylo consederunt et ex sacrificio epulati sunt; in tetrastylo discumbentes epulati sunt; in tetrastylum desciderunt, ibique in triclinio discumbentes ex sacrificio epulati sunt ad magistrum; in cathedris consederunt et epulati sunt; in tetrastylo reversus subsellis consedit; in tetrastylo subsellis consederunt.

Se per il tetrastilo della fase flavia mi sembra in sostanza accolta sia da S. che da C. Caruso la mia restituzione del tipo come un podio quadrangolare provvisto di colonne agli angoli, noto archeologicamente ad Assisi e presente a Roma sia nel Divorum del Campo Marzio che in relazione topografica e funzionale con l’aedes Divorum del Palatino, per la fase severiana il tetrastilo del lucus Deae Diae viene ricostruito nel volume soprattutto grazie ai disegni di S. Peruzzi e del padre domenicano A. Chacón. Seppure questi due disegni presentino tra loro alcune differenze, la forma architettonica dell'edificio dell'iniziale 3° secolo d.C. appare piuttosto chiara: si tratta di una costruzione a pianta rettangolare provvista di colonne su tre lati, aperta ed accessibile attraverso una crepidine a più gradini, ma chiusa da un'abside nella parte postica. Se per M.L. Ubaldelli la tipologia appare “decisamente insolita e priva di immediati confronti” (47), B. riconosce nel tetrastylum più recente un legame formale e funzionale con i triclini domestici: “Il s'agit donc d'un édifice largement ouvert sur l'extèrieur et dont on peut supposer qu'il était couvert par un velum lors des banquets. Une telle structure est comparable à celle des triclinia d’été protégés par une pergola” (404).

Ora, proprio per il tetrastylum della fase severiana, ed in particolare per il tetrastylum quale risulta illustrato da Chacón, è possibile proporre un ulteriore confronto, che traggo direttamente dalle architetture religiose ufficiali. Un confronto che, come ho già sottolineato in passato,Footnote 13 può costituire proprio l'evoluzione architettonica di avanzata età imperiale (2°-3° secolo d.C.) dei più semplici tetrastyla a quattro colonne angolari della fase precedente. Mi riferisco alla tipologia del “loggiato,” a Roma funzionale ai banchetti dell’ara Maxima Herculis, che infatti a partire dalla fase tardo-antonina, quando per ovvie ragioni l'antico culto fu riformato sotto il regno di Commodo-Ercole, si presentava come un'ampio spazio quadrangolare delimitato da un colonnato perimetrale.Footnote 14 Altri esempi di questa tipologia architettonica, poco attestata e studiata, sono stati riconosciuti da M. Torelli ne Las Incantadas di Salonicco e ne Les Piliers de Tutelle, eccezionale monumento della Burdigala romana demolito per volontà di Luigi XIV ma noto attraverso disegni e ricostruzioni d'epoca. In occasione dei banchetti successivi ai grandi sacrifici dell’ara Maxima, ai quali poteva assistere un numero cospicuo di persone, anche il loggiato del Foro Boario diventava un luogo di epifania del potere,Footnote 15 ed una medesima riflessione può esser fatta per l'edificio del lucus Deae Diae, che del resto nell'abside di fondo custodiva un eccezionale ciclo di sculture: le statue degli imperatori ritratti come Arvali con le relative basi. Credo che una delle sezioni più preziose del libro sia rappresentata proprio dalle pagine dedicate alla scoperta, alla descrizione ed alla dispersione di questo ciclo scultoreo (406–40), costituito in origine da nove statue di imperatori ritratti coronati da spighe, e che nel volume stimola una riflessione di carattere più generale sull'iconografia degli Arvali. Di questi nove simulacri è stato possibile rintracciarne tre nelle diverse collezioni europee: il Marco Aurelio del British Museum (1907), l'Antonino Pio ed il Lucio Vero del Louvre (Ma 1180 – Ma 1169). Scrive C. Evers: “Nous ne possédons donc plus aujourd'hui qu'un tiers des portraits qui ont dû orner l'abside du tétrastyle relevé par Chacón et Peruzzi” (427) e “toute porte à croire que nous avons ici les restes de la galerie des divi des IIe et IIIe siècles, fruit d'un choix délibéré effectué parmi les statues présentes dans le Caesareum lors de la réfection générale du sanctuaire à l’époque sévérienne” (434).

Un altro settore del lucus collegato al potere dinastico ed alle ragioni della continuitas imperii doveva essere il circo (333–39), attestato a partire dal periodo tiberianoFootnote 16 e riprodotto in una discussa planimetria del 1865 di A. Pellegrini (fig. 30). Purtroppo del circo degli Arvali non sono emersi resti sicuri, ma l'ipotesi presentata nel volume è che in età severiana fosse ubicato nel settore orientale del complesso, in una posizione diversa rispetto alla fase precedente. Al di là dell'incerta collocazione topografica, per ricostruire l'ideologia religiosa del lucus è comunque utile ricordare i significati agrari e cosmici della tipologia e della metafora circense; significati particolarmente risalenti in terra romana – si pensi alle origini del Circo Massimo – e che ben si conciliano all'ambigua sostanza – urania e ctonia – della Dea Dia, resa oggi ancor più “luminosa” dalle ricerche dei colleghi francesi.

Footnotes

1 Tra i molti contributi, alcuni dei quali pubblicati nei MÉFRA (1976, 1980, 1984, 1985, 1986), qui segnalo almeno i volumi Broise and Scheid Reference Broise and Scheid1987; Scheid Reference Scheid1990a; Scheid Reference Scheid1990b.

6 Rileva del resto J. Scheid (375): “À l'exception du temple de Fors Fortuna, aucun des monuments qui sont censés constituer l'anneau des sanctuaires de confin n'est antérieur à Auguste.” E scrive ancora S. nelle conclusioni (496): “La première information, à la quelle nous ne attendions pas, est que le bois sacré de Dea Dia date de l’époque augustéenne…le culte de Dea Dia, dont les procès-verbaux ont livré un carmen plus ancien, a de toute évidence été créé par Octavien et ses conseillers dans les années 32-30, à moins de supposer que le sanctuaire primitif ait été recouvert entièrement par les constructions postérieures…Les différentes stratigraphies relevées à proximité du temple et en général sur le site nous semble toutefois exclure cette possibilité, puisque aucune couche ne date avant le Ier s. av. J.-C.”

7 Marcattili c.d.s.

8 Varro, Rust. 3.5.12.

9 Sauron Reference Sauron1994, 135–67.

10 Plut. Mar. 26.8.

11 Champeaux Reference Champeaux1982, 199–247.

15 Così già Torelli Reference Torelli2006, 615.

16 Cfr. CIL VI 33950.

References

Riferimenti

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